mercoledì 10 Settembre 2025
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Don Capovilla: il sacerdote pacifista espulso da Israele.

L’episodio che ha visto coinvolto don Ferdinando Capovilla, sacerdote veneziano e figura di spicco nel movimento pacifista Pax Christi, solleva interrogativi profondi sulle procedure di accesso e sulla libertà di movimento in territorio israeliano, in particolare per coloro che, come lui, dedicano la propria vita alla promozione della pace e del dialogo interreligioso.
Dopo un’attesa di sette ore all’aeroporto di Tel Aviv, un diniego d’ingresso motivato da vaghe e preoccupanti argomentazioni legate alla “sicurezza pubblica” e all’“ordine pubblico”, don Capovilla è stato infine autorizzato a lasciare il Paese.

L’accaduto non può essere considerato un evento isolato.
È un sintomo di una crescente tendenza a limitare l’accesso a chi, provenendo da contesti internazionali, si fa portatore di messaggi di riconciliazione e di critica costruttiva nei confronti delle dinamiche geopolitiche che affliggono la regione.

Il fatto che un religioso, dedito alla carità e al dialogo, venga trattato in questo modo evidenzia una sensibilità esasperata, e forse strumentale, nei confronti di possibili minacce alla stabilità.

La riconsegna dei suoi effetti personali, valigia e telefono cellulare, dopo l’umiliante permanenza forzata, rappresenta solo un gesto formale.

La necessità di lasciare immediatamente il territorio israeliano, con una rotta di trasferimento imposta verso la Grecia, suggerisce una forma di silenzio, un tentativo di evitare che la vicenda stessa contribuisca a sollevare ulteriori domande e a stimolare un dibattito pubblico.
Il presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti, e gli altri membri del gruppo di pellegrini, che hanno potuto proseguire il viaggio verso Gerusalemme, testimoniano indirettamente la natura singolare del trattamento riservato a don Capovilla.

La loro capacità di proseguire il pellegrinaggio, in contrasto con l’ostacolo imposto al sacerdote, amplifica la gravità dell’episodio, interrogando sulla logica alla base delle decisioni prese dalle autorità israeliane.
Don Capovilla, autore di opere dedicate alla realtà di Gaza e profondamente impegnato in iniziative per la pace, incarna un modello di sacerdote che opera nel dialogo con le altre culture e religioni.

La sua esperienza personale offre un’occasione per riflettere sulla complessità delle relazioni internazionali e sulla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, inclusa la libertà di movimento e di espressione, anche in contesti caratterizzati da tensioni e conflitti.

La vicenda solleva, in ultima analisi, la questione cruciale di come costruire un futuro di pace e convivenza nel rispetto della dignità di ogni persona.

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