La prospettiva di un’interruzione forzata della Flotilla Gaza Sumud innesca un’immediata escalation di mobilitazione.
Non si tratta di una semplice reazione, ma di una dichiarazione di intenti, una promessa di resistenza che si estende oltre il mare, radicata nel tessuto sociale e lavorativo del Nordest italiano.
I centri sociali, insieme al sindacato Adl Cobas di Venezia, amplificano un monito già espresso dai lavoratori portuali di Genova, testimoni diretti della forza di una comunità disposta a trasformare l’indignazione in azione concreta.
La Flotilla, simbolo di speranza e diritto all’esistenza per la popolazione palestinese assediata, incarna un imperativo morale che trascende i confini nazionali.
Il suo potenziale arresto non rappresenta solo un fallimento umanitario, ma una ferita aperta alla coscienza collettiva.
La risposta, quindi, non può rimanere confinata alla retorica o alla denuncia.
Il porto di Venezia, crocevia cruciale per il commercio e il trasporto, diventa il fulcro di un’azione di solidarietà che si configura come atto di disobbedienza civile.
Non si tratta di un’occupazione violenta, ma di un blocco pacifico, un ostacolo intenzionale alla prosecuzione delle attività economiche, finalizzato a richiamare l’attenzione sul dramma palestinese e a denunciare le responsabilità di chi impedisce l’accesso agli aiuti umanitari.
L’eco della mobilitazione genovese, dove i camalli avevano preannunciato un blocco totale dello scalo ligure in caso di ostacolo alla Flotilla, sottolinea la forza di una classe lavoratrice consapevole del proprio ruolo nella difesa dei diritti umani.
Questi lavoratori, pilastri fondamentali dell’economia portuale, dimostrano di non essere indifferenti alle ingiustizie globali, scegliendo di rischiare la propria attività lavorativa per sostenere una causa più ampia.
Questa azione congiunta, che vede centri sociali, sindacati e lavoratori portuali allinearsi, rappresenta un’espressione di resilienza e di impegno civile.
Non è solo una reazione all’eventuale interruzione della Flotilla, ma un segnale di cambiamento, una sfida al potere costituito e un invito alla responsabilità collettiva.
La solidarietà si trasforma in un atto di resistenza, un monito a non dimenticare la sofferenza umana e a lottare per un mondo più giusto e equo.
La disobbedienza civile diventa l’arma più potente per chi non si arrende di fronte all’ingiustizia.