L’affermazione di Neil Young, un inno alla vitalità inestinguibile del rock ‘n’ roll, risuonò con particolare forza nella serata di Piazzola sul Brenta, dove i The Who, icone di una generazione, si sono presentati con un’energia sorprendente.
Pete Townshend e Roger Daltrey, portatori di un’eredità musicale che incarna l’effervescenza degli anni ’60 e ’70, hanno offerto uno spettacolo che trascende la semplice esibizione, configurandosi come un vero e proprio rituale di passaggio.
L’età, innegabile, non ha scalfito la loro capacità di connettersi con il pubblico, un insieme eterogeneo che spaziava dai giovani appassionati ai veterani che hanno vissuto in prima persona l’esplosione culturale del loro movimento.
La scaletta, una selezione calibrata di brani iconici, ha subito alcune sottrazioni, scelte artistiche che non hanno intaccato il flusso emotivo del concerto.
Anzi, hanno contribuito a creare un’atmosfera di intimità e spontaneità.
L’immagine di Roger Daltrey, in un momento di resa fisica dopo l’esecuzione di “My Generation”, non è stata un segno di debolezza, bensì un’ammissione di umanità, un contrasto potente con l’energia prorompente che lo contraddistingue.
È la testimonianza di un corpo che ha vissuto intensamente, un corpo che porta i segni di decenni passati a dare voce a una generazione ribelle.
La reazione del pubblico, inizialmente composta, si è trasformata in un’esplosione di entusiasmo durante l’esecuzione della triplice detonazione “Baba O’Riley – Won’t Get Fooled Again – The Song Is Over”.
Un’onda di energia ha investito la piazza, trascinando il pubblico sotto le transenne in un’euforia condivisa.
Questa sequenza, apice del tour d’addio, ha rappresentato non solo un momento culminante della serata, ma anche una riflessione sulla natura effimera dell’arte e sulla necessità di celebrare il presente.
Il tour, un viaggio attraverso il Regno Unito e gli Stati Uniti, è l’ultima, sentita occasione per i The Who di condividere la loro musica con il mondo.
È un gesto di gratitudine verso i fan che li hanno accompagnati in questo lungo percorso e un’ammissione che anche le leggende devono inevitabilmente fare spazio alle nuove generazioni.
Forse, come suggerisce l’osservazione finale, il “chiodo” non sarà mai veramente piantato, perché la musica, una volta liberata, assume una vita propria, capace di sopravvivere al tempo e di continuare a ispirare.
Il concerto di Piazzola sul Brenta ha offerto una vivida dimostrazione di questa eterna verità.