Il vuoto lasciato da un padre non si riempie con ricordi consolatori, ma con l’eco di un’assenza che plasma l’identità.
Anna Negri, attraverso il suo filmato “Toni mio padre”, non intende celebrare un legame paterno idealizzato, bensì sondare le profondità complesse di una relazione segnata dall’ombra di un cognome, da un’ideologia tormentata e da un tempo perduto.
Toni Negri, figura controversa del panorama politico italiano, portatore di un’eredità ideologica pesante come un fardello, si staglia nel film non come un eroe o un villain, ma come un uomo fragile, depositario di un’intelligenza acuta e di una visione del mondo che Anna fatica a comprendere appieno.
La sua ironia, la sua capacità di analisi, sono i tasselli mancanti in un mosaico emotivo frammentato, desideri inappagati che il tempo, e le scelte di vita, hanno reso irraggiungibili.
Il film, presentato alle Giornate degli Autori a Venezia, è un atto di coraggio e di necessità.
Non si tratta di un mero esercizio autobiografico, ma di un tentativo di ricostruire un rapporto interrotto troppo presto, di colmare un abisso creato dall’impegno politico, dalla prigionia e dalla latitanza.
Anna, nata nel 1964, si ritrova a Venezia, sei mesi prima della morte del padre, a confrontarsi con lui e con la macchina da presa, in un dialogo intimo e a tratti doloroso.
Il cognome “Negri” rappresenta un peso storico, un marchio che impone una costante cautela, un’ombra che si proietta sulla vita della figlia.
L’accusa di essere il “capo occulto del terrorismo italiano”, poi archiviata, ha lasciato un segno indelebile, alimentando sospetti e pregiudizi.
Il film, distribuito da Wanted, traccia il percorso di Anna, che ha condiviso con il padre solo quattordici anni di vita, in un tentativo di recuperare il tempo perduto e di affrontare le ferite aperte.
La decisione di realizzare il film nasce da un’urgenza profonda: la necessità di un chiarimento finale, un confronto sincero prima che il tempo si esaurisca.
Anna ammette di aver forse peccato di eccessiva severità nei confronti del padre, riconoscendo anche l’influenza della regista nel plasmare la narrazione.
Toni, pur avendo visto solo una parte del montato, si è dichiarato soddisfatto, esprimendo gratitudine per la fiducia accordatagli dalla figlia.
“Toni mio padre” non è un film sulla redenzione o sulla riconciliazione definitiva, ma un’esplorazione onesta e dolorosa di un rapporto complesso, un tentativo di comprendere un uomo tormentato e una figlia alla ricerca di un padre.
È un’occasione per riflettere sul peso delle ideologie, sul significato del perdono e sulla resilienza dell’animo umano.
Un viaggio introspettivo che, attraverso le immagini, ci invita a confrontarci con le nostre stesse fragilità e con le ferite del passato.