Il dato demografico italiano rivela una frattura sempre più profonda, un sorpasso demografico già consolidato nel Mezzogiorno e nelle Isole, dove il numero di pensioni erogate supera sensibilmente quello dei lavoratori attivi.
Questa disparità, evidenziata dalla Cgia, non è un mero squilibrio numerico, ma il sintomo di una più ampia crisi strutturale che mina la sostenibilità del sistema pensionistico e mette a rischio la stabilità economica del Paese.
Nel 2024, il confronto tra pensionati e occupati ha visto il Mezzogiorno emergere come unico bacino geografico con un saldo negativo significativo: in Puglia, la differenza è particolarmente drammatica, con oltre 231.700 unità in più di pensionati rispetto ai lavoratori.
Questa situazione, lungi dall’essere isolata, riflette un quadro più ampio di invecchiamento della popolazione e di scarsa capacità di rigenerazione demografica, aggravato da un tasso di natalità persistentemente basso.
Al contrario, le regioni del Centro-Nord, nonostante le sfide globali, mostrano una dinamica più positiva, grazie a un mercato del lavoro relativamente più dinamico.
Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna e Toscana, con i loro rispettivi surplus di lavoratori rispetto ai pensionati, rappresentano isole di resilienza, ma la loro capacità di compensare il deficit meridionale è destinata a esaurirsi.
La Cgia mette in guardia: il progressivo aumento delle pensioni, a fronte di una stabilità, o addirittura di un declino, dell’occupazione, inevitabilmente porterà a un incremento della spesa pubblica, compromettendo l’equilibrio dei conti e la stabilità sociale.
La soluzione, secondo la confederazione, non risiede in misure palliative, ma in una strategia di lungo termine che promuova una vera e propria rivoluzione nel mercato del lavoro.
Questo implica non solo l’emersione del lavoro nero, un serbatoio di risorse inesplorate, ma soprattutto un aumento significativo dell’occupazione giovanile e femminile, indicatori di un sistema inclusivo e dinamico che l’Italia, purtroppo, vede ancora penalizzati a livello europeo.
È necessario, inoltre, affrontare il problema della qualità del lavoro, incentivando forme di impiego più stabili e ben retribuite, in grado di attrarre e trattenere i talenti.
La prospettiva futura, tuttavia, appare tutt’altro che rosea.
Tra il 2025 e il 2029, si prevede un’ondata di pensionamenti che interesserà circa 3 milioni di italiani, con una concentrazione preponderante nelle regioni del Nord.
Questo fenomeno, definito dalla Cgia come una “fuga da scrivanie e catene di montaggio”, rappresenta una vera e propria sfida per il sistema produttivo, già alle prese con la difficoltà di reperire personale qualificato.
La carenza di manodopera, destinata ad acuirsi, rischia di frenare la crescita economica e di esacerbare le disuguaglianze territoriali.
In definitiva, la situazione demografica italiana configura un rischio sistemico che richiede un intervento urgente e coordinato a livello nazionale.
Non si tratta solo di garantire la sostenibilità del sistema pensionistico, ma di costruire un futuro in cui il lavoro, l’innovazione e la coesione sociale possano prosperare.
Ignorare questa sfida significherebbe condannare l’Italia a un declino inesorabile.







