La recente sentenza della Corte d’Appello di Venezia, che si aggiunge alla precedente pronuncia di Torino, getta nuova luce sulla complessa materia della tutela delle Denominazioni di Origine Protetta (DOP) e dell’etichettatura agroalimentare, un tema cruciale per la salvaguardia del patrimonio produttivo italiano e la trasparenza verso il consumatore.
Il caso specifico riguarda il formaggio Gran Moravia e la sua denominazione, che ha visto il caseificio Brazzale soccombere in appello, confermando la decisione precedente del Tribunale di Venezia.
La Corte non si è limitata a respingere l’appello, ma ha offerto una motivazione particolarmente significativa: il termine “Grana”, lungi dall’essere un aggettivo generico descrittivo, costituisce un elemento intrinseco e distintivo della DOP Grana Padano.
La sua associazione a un prodotto diverso, come il Gran Moravia, configura una forma di appropriazione indebita e una distorsione del mercato.
Questa decisione va ben oltre la semplice questione etichettatura di un singolo formaggio.
Essa si radica in un quadro normativo storico e giurisprudenziale che risale al lontano 1955, quando il legislatore italiano ha formalmente riconosciuto la DOP Grana Padano.
Successivamente, l’evoluzione della giurisprudenza europea ha ulteriormente consolidato il principio secondo cui l’uso commerciale di termini DOP in relazione a prodotti non conformi al disciplinare di riferimento rappresenta una pratica commerciale scorretta, volta a generare confusione nei consumatori e a danneggiare i produttori che investono nella qualità e nella conformità agli standard DOP.
Il Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano, ente garante di questa prestigiosa denominazione, accoglie con particolare favore questa pronuncia, che rafforza il suo ruolo di sentinella contro le pratiche di concorrenza sleale.
La tutela delle DOP non è soltanto una questione di diritto, ma anche una questione di equità, poiché salvaguarda il lavoro, le competenze e gli investimenti di generazioni di produttori che si impegnano a rispettare standard elevatissimi di qualità, tradizione e tracciabilità.
Questa vicenda sottolinea la crescente importanza di una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori, chiamati a distinguere i prodotti autentici da quelli che sfruttano in modo improprio l’appeal delle denominazioni DOP.
Allo stesso tempo, evidenzia la necessità di un’azione più incisiva da parte delle autorità competenti per contrastare le violazioni delle norme sull’etichettatura e per tutelare il valore intrinseco del Made in Italy agroalimentare, un elemento chiave dell’identità e dell’economia del nostro Paese.
La sentenza della Corte di Venezia, in questo contesto, si configura come un importante tassello nella costruzione di un sistema più trasparente, equo e rispettoso del patrimonio enogastronomico italiano.








