Vicenda giudiziaria a Torino: condanne per mafia ndranghetista a Ivrea

Date:

25 luglio 2024 – 14:20

Nel cuore di Torino è emersa una vicenda giudiziaria intricata, scaturita dall’inchiesta Cagliostro e culminata in un processo che ha visto cinque individui condannati a pene detentive comprese tra i 3 e gli 8 anni, grazie al rito abbreviato. Questo ramo processuale, derivato dall’indagine su Cagliostro, si è concentrato sulla presenza della ndrangheta nella città di Ivrea e nei comuni circostanti. Oggi il giudice ha emesso sentenze di 8 anni per Antonino Mammoliti, 6 anni per Flavio Carta, 5 anni e 10 mesi per Stefano Marino, 5 anni e 6 mesi per Maurizio Buondonno e infine 3 anni per Francesco Vaval. I legali difensori di questi imputati sono stati Celere Spaziante, Enrico Scolari, Mario Benni, Ferdinando Ferrero ed Ercole Cappuccio. Le accuse mosse dai pubblici ministeri Livia Locci e Dionigi Tibone includono reati quali associazione di stampo mafioso, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione illegale di armi con modalità mafiose. Il tribunale ha riconosciuto la colpevolezza associativa per quattro dei cinque imputati.L’indagine avviata nel 2015 dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino sotto la supervisione della Dda locale ha raccolto prove significative riguardanti la presenza di una cellula ndranghetista operante tra Ivrea, Chivasso e aree limitrofe. Questo gruppo sarebbe affiliato alla cosca degli Alvaro di Sinopoli e guidato da Domenico Alvaro alias “Il Biondo”, residente a Chivasso e figlio di un capobastone calabrese. Durante un blitz effettuato all’alba del 20 aprile 2023 sono state arrestate nove persone mentre altre venti restano indagate in libertà.Gli inquirenti ritengono che la banda abbia agito su due fronti: uno legato al traffico internazionale di stupefacenti smantellato nell’operazione Cerbero del novembre 2019 a Torino; l’altro focalizzato su vari reati contro il patrimonio come truffe agli imprenditori sia in Italia che all’estero. Nel contesto del processo abbreviato si è discusso approfonditamente delle truffe della valigetta: un ingegnoso metodo alternativo alla droga che consentiva agli autori di eludere condanne più severe. L’accusa sostiene che i colpevoli si presentassero come affiliati a famiglie criminali calabresi offrendo alle vittime in difficoltà economica l’opportunità di acquistare denaro sporco a prezzi vantaggiosi mediante acconti pagati in oro o gioielli.Una volta aperte le valigette consegnate ai malcapitati contenenti solo caffè o giornali anziché banconote promesse, le vittime reclamavano il rimborso ma venivano minacciate dagli accusati con l’intimidazione della loro presunta appartenenza alla mafia calabrese. Le somme sottratte fraudulentamente ammontano a oltre seicentomila euro secondo le stime degli inquirenti.

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