La campagna “Tutto nella norma”, promossa da D.
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Re – Donne in Rete contro la violenza, si configura come una risposta lucida e urgente alle crescenti vulnerabilità che affliggono il panorama dei diritti delle donne in Italia.
 Lungi dall’essere una mera commemorazione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, l’iniziativa intende smascherare una pericolosa deriva culturale e politica che mina le fondamenta dell’autodeterminazione femminile.
La violenza, lungi dall’essere un fenomeno isolato e relegabile a episodi di singola responsabilità individuale, emerge come il tragico esito di un ecosistema di fattori strutturali.
  Le politiche governative che limitano l’accesso alla giustizia, che svalorizzano l’importanza della prevenzione e che, implicitamente o esplicitamente, promuovono una visione gerarchica e disuguale tra i generi, alimentano un clima di impunità e rafforzano i meccanismi di controllo e oppressione che rendono le donne vulnerabili.
  Il silenzio complice delle istituzioni, l’indifferenza della società, la banalizzazione della violenza stessa, concorrono a creare un terreno fertile per il perpetuarsi di pratiche discriminatorie e violente.
Cristina Carelli, presidente di D.
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Re, con amarezza sottolinea la necessità di una battaglia che, a distanza di decenni dalla conquista di diritti fondamentali, si rivela ancora attuale e imprescindibile.
 L’esperienza dei centri antiviolenza, accumulata in oltre quarant’anni di ascolto e sostegno alle donne vittime di abusi, offre una prospettiva unica e profondamente critica.
  Questi centri non sono semplici presidi di assistenza, ma luoghi di conoscenza, di empowerment e di rivendicazione dei diritti.
  Hanno maturato una consapevolezza profonda: la violenza non si combatte con interventi meramente securitari, ma con un approccio globale che affronti le cause strutturali e promuova una cultura del rispetto e dell’uguaglianza.
La campagna “Tutto nella norma” vuole dunque rompere il cerchio della retorica compassionevole che si ripresenta ad ogni femminicidio, offrendo invece un’analisi spietata delle dinamiche di potere che sottendono alla violenza di genere.
  Richiede un cambio di paradigma, una responsabilizzazione delle istituzioni, una revisione delle politiche sociali e un profondo ripensamento dei valori che guidano la nostra società.
  Non si tratta solo di condannare l’atto violento, ma di decostruire le norme, i pregiudizi e i condizionamenti che lo rendono possibile, e di costruire un futuro in cui l’autodeterminazione femminile sia non solo garantita, ma attivamente promossa e difesa.
La vera battaglia, insomma, non si combatte solo contro i carnefici, ma contro un sistema che li genera e li protegge.


 
                                    



