Beirut si appresta a vivere un anniversario doloroso, il quinto dal catastrofico evento che il 4 agosto 2020 ha trasformato il suo porto in un inferno e la città stessa in un paesaggio di rovine.
L’esplosione, una delle più potenti mai registrate in assenza di armi nucleari, non fu semplicemente un disastro, ma un amplificatore di tutte le fragilità che già affliggevano il Libano, una nazione già provata da decenni di conflitti, corruzione endemica e instabilità politica.
Le 246 vittime, i migliaia di feriti, le centinaia di migliaia di sfollati, rappresentano non solo una perdita umana incalcolabile, ma anche una ferita aperta nel tessuto sociale ed economico di Beirut.
L’onda d’urto, che si propagò a chilometri di distanza, cancellò intere abitazioni, distrusse infrastrutture vitali e scompaginò per sempre la vita di innumerevoli famiglie.
A distanza di cinque anni, il silenzio assordante che circonda le responsabilità dell’accaduto continua a soffocare la speranza di giustizia.
I familiari delle vittime, spinti dalla disperazione e dalla sete di verità, si preparano a commemorare la tragedia, affrontando un muro di omertà eretto dalle élite politiche, che si sono dimostrate abili nel proteggere i propri interessi a costo di ignorare il dolore collettivo.
Al centro del disastro, 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, una sostanza altamente instabile e pericolosa, giacevano abbandonate in un magazzino portuale per sette anni, un periodo di negligenza criminale che testimonia la profonda corruzione e il collasso delle istituzioni libanesi.
La presenza di tali quantità di materiale esplosivo, in prossimità del cuore della città, rappresenta un fallimento sistemico che coinvolge diverse agenzie governative e figure di potere, sollevando interrogativi inquietanti sulla capacità dello Stato di proteggere i propri cittadini.
L’esplosione si verificò in un contesto già drammatico, quando il Libano si trovava sull’orlo del collasso economico, aggravato da una crisi finanziaria senza precedenti.
La carenza di beni essenziali, l’iperinflazione, il crollo della moneta e la disastrosa gestione delle risorse hanno esacerbato le sofferenze della popolazione, rendendo la tragedia ancora più devastante.
L’evento non fu solo una catastrofe materiale, ma un simbolo tangibile della profonda crisi esistenziale che attanaglia il Libano, un paese intrappolato in un circolo vizioso di corruzione, inefficienza e instabilità politica.
La ricerca della verità e della giustizia, pertanto, non è solo una questione di responsabilità penale, ma un imperativo per la ricostruzione morale e sociale di un paese ferito a morte.