“Tre Ciotole”, l’ultimo romanzo di Michela Murgia trasfigurato in un’opera cinematografica da Isabel Coixet, non è semplicemente un film, ma un atto di memoria e un’esplorazione profonda dell’esistenza umana, compiuto a distanza di pochi mesi dalla scomparsa della scrittrice.
Un omaggio struggente che trascende la narrazione di una crisi di coppia per interrogare il significato della vita, della perdita, e della capacità di trovare bellezza anche nell’ineluttabilità del dolore.
Il film, distribuito da Vision Distribution e presentato al Toronto International Film Festival, si concentra su Marta (Alba Rohrwacher) e Antonio (Elio Germano), due anime romane intrappolate in una frattura emotiva di origine incerta.
Lui, un cuoco di talento, l’ha lasciata, ma l’abbandono non è netto, né la dimenticanza facile.
Lei, insegnante di educazione fisica, si trova a confrontarsi con una malattia che manifesta una perdita di appetito, un sintomo rivelatore di una profonda inquietudine interiore.
Questa condizione, apparentemente fisica, si rivela essere un riflesso di una crisi esistenziale più ampia, un sintomo di una perdita di significato.
Coixet, con la sua sensibilità registica, evita la retorica e il sentimentalismo facile, preferendo un approccio sobrio e contemplativo.
Il film non è una biografia di Michela Murgia, ma piuttosto un’immersione nel suo universo narrativo, nei suoi interrogativi sulla condizione umana.
Come sottolinea Rohrwacher, non si tratta di aderire a una “religione” della scrittrice, ma di onorare la sua visione del mondo, la sua capacità di scrutare l’animo umano con lucidità e compassione.
Germano, nel suo ruolo di Antonio, evidenzia come il romanzo e il film riflettano lo sguardo di Murgia sugli esseri umani, spesso intrappolati in una frenetica corsa verso il successo materiale, dimenticando i valori fondamentali dell’empatia e della connessione.
I traumi, le perdite, diventano allora delle porte d’accesso a una comprensione più profonda del mistero della vita.
Il titolo, “Tre Ciotole”, evoca un paesaggio interiore, un luogo di rifugio e contemplazione.
Marta, la protagonista, si trova a fronteggiare due eventi paralleli: una dolorosa separazione e la consapevolezza della propria mortalità.
Non è una figura passiva che implora pietà, ma una donna che accetta il destino con dignità, come chi si inchina davanti al sole al tramonto, sapendo che sorge di nuovo altrove.
Coixet, da New York, confessa di essere stata inizialmente titubante di affrontare un tema così delicato come la malattia e la morte, ma la lettura del romanzo l’ha convinta della sua forza e originalità.
L’adattamento cinematografico si propone di raccontare questo percorso con delicatezza ed emozione, mostrando come anche nell’addio possa risiedere la grazia e come il dolore possa coesistere con la gioia.
Il film, una co-produzione italo-spagnola che coinvolge Cattleya, ITV Studios, Ruvido Produzioni, Bartlebyfilm e Vision Distribution, è arricchito dalla presenza di un cast di talento che include Silvia D’amico, Galatea Bellugi, Francesco Carril e Sarita Choudhury, a testimonianza della portata universale di una storia che parla al cuore di chiunque si sia mai confrontato con la fragilità dell’esistenza.