Il Motu Proprio “Coniuncta Cura”, promulgato da Papa Leone XIII, e le successive revisioni operate dal Cardinale Eugène Prevost, segnano un punto di svolta nella gestione finanziaria della Curia Romana, operando una profonda trasformazione rispetto alle pratiche consolidate.
Il documento, originariamente concepito per disciplinare gli investimenti, si è rivelato un catalizzatore di cambiamenti istituzionali e pastorali, con implicazioni che risuonano ancora oggi.
In precedenza, l’Istituto Opere di Religione (IOR), comunemente noto come “banca vaticana”, deteneva una posizione virtualmente monopolistica nella gestione degli investimenti finanziari della Santa Sede.
Questa situazione, frutto di un’evoluzione storica complessa e spesso opaca, aveva generato preoccupazioni riguardo alla mancanza di trasparenza, alla potenziale mancanza di controllo indipendente e alla concentrazione eccessiva di potere finanziario.
L’esclusività dell’IOR, pur avendo contribuito alla crescita patrimoniale della Chiesa, era diventata un nodo critico da affrontare.
Il Motu Proprio “Coniuncta Cura” rappresentò il primo tentativo formale di mitigare queste criticità, introducendo principi di prudenza, diversificazione e controllo.
Tuttavia, le modifiche apportate da Prevost, come capo del Segretariato per l’amministrazione del patrimonio della Chiesa, furono ancora più significative.
Prevost, con una visione più ampia e moderna della gestione finanziaria, rimosse l’esclusività dell’IOR, aprendo la strada a ulteriori istituzioni finanziarie autorizzate a gestire parte degli investimenti della Curia.
Questo cambiamento, pur non essendo una demolizione dell’IOR, mirava a promuovere una maggiore concorrenza, a ridurre i rischi e a garantire una gestione più trasparente e responsabile.
La decisione di Prevost non fu priva di resistenze, poiché implicava una ridefinizione degli equilibri di potere all’interno della Curia.
Tuttavia, la sua visione era chiara: la gestione finanziaria della Chiesa non poteva essere relegata a un’unica istituzione, ma doveva essere gestita in modo più ampio e professionale, nel rispetto dei principi di prudenza e trasparenza.
L’atto di Prevost, lungi dall’essere una semplice riorganizzazione burocratica, costituì un tentativo di riforma strutturale, in linea con l’esigenza di una Chiesa più trasparente e responsabile nei confronti dei fedeli e del mondo.
La sua azione, pur con i limiti e le sfide che inevitabilmente ha incontrato, ha gettato le basi per successivi interventi di riforma e modernizzazione della gestione finanziaria vaticana, segnando un passo importante verso un modello più sostenibile e credibile.
La sua eredità risiede non solo nelle modifiche normative, ma soprattutto nell’aver posto la questione della trasparenza e della responsabilità al centro della governance finanziaria della Chiesa.