La questione relativa alla legittimità della candidatura del consigliere regionale Andrea Putzu nel 2020 solleva interrogativi cruciali sull’applicazione della normativa vigente e sull’integrità del processo elettorale nelle Marche.
Alessia Morani, aspirante consigliera regionale per il Partito Democratico, ha sollevato dubbi circostanziati, indirizzando un appello formale al Presidente del Consiglio Regionale, Acquaroli, affinché fornisca chiarimenti immediati e inequivocabili.
Al centro della controversia vi è la presunta incompatibilità del consigliere Putzu, a seguito di una sentenza definitiva che lo condannava a otto mesi e venti giorni di reclusione per falso ideologico.
La legge Severino, applicazione concreta del principio di responsabilità dei funzionari pubblici, prevede l’impossibilità per chi si trovi in una condizione di condanna definitiva di ricoprire cariche elettive.
La domanda posta da Morani non è meramente retorica: era effettivamente Putzu precluso alla candidatura nel 2020, e se sì, perché non fu dichiarato decaduto dalla carica?La questione si complica ulteriormente se si considera la successiva autocertificazione presentata dal consigliere, con la quale si attestava l’assenza di cause di incompatibilità derivanti dalla condanna subita.
Quale contenuto presentava questa dichiarazione? Cosa ha effettivamente affermato Putzu per superare, apparentemente, i vincoli imposti dalla legge? Questa autocertificazione, se effettivamente avvenuta, configura un quadro di potenziale elusione normativa che merita un’indagine approfondita.
L’approssimarsi di un’udienza per la riabilitazione del consigliere Putzu aggiunge un ulteriore elemento di rilevanza.
La riabilitazione, infatti, rappresenta un presupposto necessario per poter nuovamente aspirare alla carica di consigliere regionale.
Il processo di riabilitazione, e le motivazioni che lo sosterranno, dovranno essere esaminati con la massima trasparenza, per garantire che la decisione sia conforme alla legge e all’interesse pubblico.
La richiesta di chiarimenti rivolta ad Acquaroli non è un’azione di semplice accusa, ma un imperativo di responsabilità democratica.
I cittadini marchigiani hanno il diritto di sapere se le elezioni che li hanno visti partecipare sono state condotte nel pieno rispetto della legalità e dell’etica pubblica.
La risposta adeguale e tempestiva da parte del Presidente del Consiglio Regionale non è solo una questione di correttezza istituzionale, ma un atto di tutela della fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
Un silenzio o una risposta evasiva non farebbero altro che alimentare sospetti e minare la credibilità dell’intero sistema politico regionale.