Un’immagine potente, in bianco e nero, si staglia sulle pareti del Centrepoint, a Tottenham Court Road, Londra.
Al centro, un bambino, disteso sul terreno in un gesto apparentemente indifeso, quasi abbandonato.
Accanto a lui, una figura scura, ingombrante, proietta un’ombra minacciosa, il braccio esteso verso l’alto, l’indice teso in un puntatore silenzioso rivolto a un edificio imponente.
L’opera, avvolta nel mistero, suscita immediatamente l’associazione con l’estro iconoclasta di Banksy, sebbene la paternità ufficiale resti, per ora, in sospeso.
La composizione evoca un senso di vulnerabilità e di smarrimento infantile, contrapposto alla presenza imponente e anonima della figura adulta, un presunto custode o guida, la cui indicazione non è chiara: è un invito all’ammirazione? Un monito? Una denuncia? L’edificio, sullo sfondo, potrebbe rappresentare l’autorità, le istituzioni, il sistema stesso che il linguaggio sottile e tagliente di Banksy spesso mira a decostruire.
L’assenza di colore amplifica l’impatto emotivo, conferendo all’immagine un’aura di atemporalità e universalità.
La scelta del Centrepoint, un rifugio per senzatetto, non è casuale; si tratta di un luogo carico di significato sociale, un punto focale di emarginazione e disuguaglianza che risuona profondamente con le tematiche ricorrenti nell’opera di Banksy: la critica al potere, la denuncia delle ingiustizie, l’esplorazione della condizione umana.
Stefano Antonelli, esperto curatore e voce autorevole nel panorama italiano della street art, ha condiviso sui suoi canali social le prime immagini dell’opera, alimentando l’entusiasmo e l’attesa dei numerosi estimatori del misterioso artista di Bristol.
La prudenza, tuttavia, rimane di rigore: la conferma definitiva dell’attribuzione rimane appesa a un filo, nel silenzio enigmatico che da sempre accompagna le creazioni di Banksy.
L’attesa, però, non fa che accrescere la fascinazione per quest’opera, potenziale nuovo capitolo nella narrazione visiva che Banksy continua a tessere sulle pareti del mondo.
