Il Palazzo di Giustizia di Cuneo ha accolto ufficialmente il nuovo Presidente del Tribunale, Mario Amato, in una cerimonia densa di significato e di sottintesi.
La sua nomina, sancita dal Consiglio Superiore della Magistratura a rimpiazzo di Paolo Demarchi Albengo, segna un punto di transizione in un contesto giuridico in profonda evoluzione.
Proveniente da Torino, dove ha ricoperto il ruolo di Presidente Vicario del Tribunale e presieduto sezioni penali presso la Corte d’Appello, Amato, sessantaseienne, porta con sé una vasta esperienza e una prospettiva matura sull’amministrazione della giustizia.
La sua prima dichiarazione pubblica, pronunciata in un ambiente istituzionale solenne, ha subito manifestato una preoccupazione condivisa da molti operatori del diritto: la riforma sulla separazione delle carriere.
L’auspicio espresso dal nuovo Presidente – “Spero con tutto il cuore di non dover parlare, tra qualche mese, di magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente” – rivela una profonda riflessione sui potenziali rischi di una compartimentazione che potrebbe compromettere l’integrità e l’imparzialità del sistema giudiziario.
Egli ha sottolineato, con forza, che la giustizia non può essere relegata a una mera funzione amministrativa, bensì rappresenta un valore imprescindibile, un pilastro della convivenza civile che richiede costante rispetto e tutela.
La presenza di figure di spicco durante la cerimonia, come il Presidente di Sezione Penale Edmondo Pio, il Procuratore Capo Onelio Dodero, il Presidente dell’Ordine degli Avvocati Alessandro Ferrero, il Presidente della Corte d’Appello Edoardo Barelli Innocenti e il Procuratore Generale di Torino Lucia Musti, ha conferito all’evento un’importanza ancora maggiore.
Quest’ultima, in particolare, ha espresso un giudizio critico e diretto sulla riforma, lanciando un appello vibrante a giudici e pubblici ministeri: preservare la coesione e i principi fondamentali che definiscono la cultura della giurisdizione, resistendo alla tentazione di essere ridotti a semplici strumenti esecutivi.
Il momento rituale, celebrato nell’aula di assise, non è stato solo una formalità di passaggio di consegne.
Ha rappresentato un monito, un invito a riflettere sulle sfide che attendono il sistema giudiziario e sulla necessità di difendere i valori fondanti della giustizia, anche di fronte a cambiamenti legislativi potenzialmente destabilizzanti.
L’appuntamento si configura quindi come un punto di partenza per un dibattito aperto e costruttivo, volto a garantire che la giustizia rimanga un baluardo di equità e libertà per tutti i cittadini.







