A Rimini, si è conclusa con una sentenza in abbreviato un caso che ha scosso la comunità, sollevando interrogativi complessi sulla responsabilità professionale, il consenso e la vulnerabilità delle fasce più giovani.
Un bagnino di 46 anni, originario di Piacenza e assistito dall’avvocato Monica Cappellini, ha ricevuto una condanna a otto mesi di reclusione, con l’aggiunta del pagamento delle spese processuali.
La richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero, Davide Ercolani, era stata più severa, arrivando a chiedere dieci mesi di detenzione per tentata violenza sessuale, un’accusa che evidenzia la gravità percepita delle azioni poste in essere dall’imputato.
L’episodio, datato agosto 2022, ruota attorno a una diciassettenne in vacanza con la famiglia nella località balneare.
La giovane, a seguito di una escursione in moscone, aveva manifestato un forte malessere, verosimilmente dovuto al movimento ondoso e alla conseguente cinetosi.
Il bagnino, incaricato della sorveglianza e della sicurezza della spiaggia, intervenne per prestarle soccorso.
Tuttavia, anziché fornire un’assistenza standard e appropriata, lo ha condotto in un’area appartata, un gazebo destinato al riposo, dove, secondo quanto denunciato dalla vittima, ha tentato di avvicinarla con intenzioni sessuali.
La reazione immediata della ragazza, testimoniata da singhiozzi e grida, ha interrotto il tentativo, attirando l’attenzione di altri bagnanti e, successivamente, l’intervento dei Carabinieri.
La testimonianza fornita dalla giovane, supportata da ulteriori elementi raccolti durante le indagini, ha delineato un quadro preoccupante: dopo essere stata soccorsa e portata a riva dagli amici che avevano noleggiato il moscone, la vittima era stata preda di un approccio manipolatorio.
Il bagnino, presumibilmente con l’intento di creare un contesto apparentemente benigno, aveva utilizzato la scusa di volerla confortare e farla sentire meglio, aggiungendo un presunto massaggio come ulteriore stratagemma per isolarla e avvicinarsi.
La presa di coscienza da parte della giovane, che ha percepito la reale natura delle intenzioni dell’imputato, ha scatenato la sua richiesta di aiuto, un atto di coraggio che ha permesso di interrompere la potenziale commissione di un reato.
Questo caso, oltre alla condanna dell’imputato, apre un dibattito importante sulla responsabilità dei professionisti che operano in contesti di fruizione pubblica, in particolare quando si relazionano con soggetti vulnerabili.
Solleva interrogativi cruciali sulla formazione, la supervisione e i protocolli di comportamento che dovrebbero essere in atto per garantire la sicurezza e il benessere di tutti i bagnanti, con un’attenzione specifica alle fasce più giovani.
La vicenda, pertanto, si configura non solo come un episodio di devianza individuale, ma anche come un campanello d’allarme per l’intero settore, invitando a una riflessione approfondita sulle misure da adottare per prevenire e contrastare comportamenti inappropriati e proteggere la dignità e l’integrità di ogni persona.