Le memorie si diradano come nebbia al sole, le linee di demarcazione sfumano, e le dichiarazioni che un tempo, a settembre del 2024, venivano deposte su carta con la rigidità imposta dagli atti ufficiali e ripetute con apparente convinzione di fronte ai magistrati della Procura di Palermo, ora vacillano sotto il peso dei “non so”, dei “potrebbe essere”, dei “forse non ricordo”.
Il verbale di interrogatorio preventivo di Filippo Piritore, figura di spicco nella Mobile e successivamente Prefetto, ora agli arresti domiciliari con l’ombreggiatura dell’accusa di aver deliberatamente ostacolato le indagini sull’efferato assassinio del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, rappresenta un cambio di rotta sostanziale, quasi un’ammissione tacita di incongruenze preesistenti.
L’evoluzione delle dichiarazioni di Piritore solleva interrogativi profondi sulla natura stessa della memoria e sul ruolo della pressione, della paura e dell’influenza politica nel processo di ricostruzione degli eventi.
Non si tratta semplicemente di un deterioramento dovuto al tempo, ma di una revisione che sembra suggerire un’impossibilità, o una riluttanza, a confermare le versioni precedentemente fornite.
Questa metamorfosi narrativa pone l’accento sulla fragilità delle testimonianze, anche quelle provenienti da figure di autorità come Piritore, che detengono, o hanno detenuto, responsabilità chiave nella gestione di un caso di tale delicatezza.
Il caso Mattarella, una ferita ancora aperta nel tessuto sociale siciliano, si rivela, attraverso questo interrogatorio, un labirinto di omissioni, depistaggi e silenzi strategici.
La figura di Piritore, in passato presentata come un baluardo di competenza e integrità, ora emerge come un nodo cruciale in una rete complessa di responsabilità, costringendo la Procura a riconsiderare le dinamiche investigative e a riaprire interrogativi precedentemente considerati risolti.
La vicenda trascende la mera ricostruzione di un singolo omicidio; si configura come una riflessione sulla corruzione del sistema giudiziario, sulla pressione esercitata da poteri occulti e sulla necessità di una maggiore trasparenza nell’amministrazione della giustizia.
La revisione delle dichiarazioni di Piritore non è solo un elemento processuale, ma un campanello d’allarme che invita a un’indagine più ampia e approfondita sui meccanismi che hanno permesso, per anni, di celare la verità sull’uccisione di Piersanti Mattarella.
Si apre, quindi, uno scenario in cui la memoria collettiva, alimentata dall’amarezza e dalla sete di giustizia, deve confrontarsi con un passato che si rivela ambiguo e, forse, irreparabilmente alterato.






