La sua esistenza, segnata da un’ombra persistente, si è spezzata in modo brutale.
Tiziana Vinci, una donna costretta a vivere nell’angoscia e nella precarietà, ha trovato la morte per mano dell’uomo che aveva più volte implorato la giustizia a proteggerla.
Sei figli, una comunità intera, sono ora investiti da un dolore sordo e lacerante, un dolore amplificato dalla consapevolezza di una protezione mancata, di un sistema che, pur consapevole del pericolo, non è riuscito a garantire la sua sicurezza.
Tiziana, collaboratrice domestica in una residenza di pregio, ha perso la vita a seguito di un’aggressione ferina, consumata con tre coltellate precise e mortali.
L’autore di questo atto efferato è Umberto Efeso, il suo ex coniuge, un uomo di cui Tiziana aveva ripetutamente denunciato i comportamenti persecutori e violenti.
Le denunce, testimonianze di un tormento che si protraeva nel tempo, non hanno placato la sua sete di controllo e di sopraffazione.
La vicenda solleva interrogativi urgenti e dolorosi.
Il braccialetto elettronico, un dispositivo pensato per monitorare e contenere i comportamenti aggressivi, si è rivelato inefficace, un fallimento emblematico del cosiddetto “Codice rosso”, un protocollo di protezione che dovrebbe offrire un’ancora di salvezza alle donne vittime di violenza di genere.
La sua disfunzione è più di una semplice inadempienza tecnica; è il simbolo di un sistema carente, di risorse insufficienti, di una formazione inadeguata degli operatori, di una burocrazia lenta e farraginosa che spesso si rivela fatale.
Questo non è solo un caso di femminicidio; è un campanello d’allarme che suona a voce alta, evidenziando le debolezze di un modello sociale ancora troppo tollerante nei confronti della violenza maschile.
È una denuncia della necessità di un cambio radicale di mentalità, di una maggiore sensibilizzazione, di una legislazione più efficace e di una sua rigorosa applicazione.
La morte di Tiziana Vinci non può essere dimenticata.
Deve essere un punto di partenza per un impegno concreto e corale, che coinvolga istituzioni, forze dell’ordine, servizi sociali, associazioni e cittadini, per costruire un futuro in cui le donne possano vivere libere dalla paura e dalla violenza, in cui la giustizia non sia solo una parola, ma una realtà tangibile e certa.
Il silenzio, in questo caso, è complice.
La memoria di Tiziana, il dolore dei suoi figli, ci impongono di agire, ora, con determinazione e responsabilità.