domenica 24 Agosto 2025
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Censura algoritmica: Meta blocca l’arte di Jago, un campanello d’allarme.

La censura algoritmica si abbatte nuovamente sulla scena artistica digitale, questa volta colpendo Jago, figura di spicco nel panorama internazionale della scultura contemporanea e custode di una vasta comunità online.

La vicenda, che riaccende il dibattito sull’autonomia creativa nell’era dei social media, vede coinvolto l’algoritmo di Meta, il motore invisibile che governa la distribuzione dei contenuti su Facebook e Instagram.

La “David”, l’opera che ha scatenato la controversia, è un omaggio audace e reinterpretativo del capolavoro michelangiolesco.
Jago, con la sua scultura, non si è limitato a replicare l’iconografia rinascimentale, ma ne ha indagato la fisicità e la vulnerabilità, scegliendo di rappresentare la figura maschile in una composizione che rivela la nudità, elemento imprescindibile per comprendere la bellezza ideale e la forza espressiva dell’arte classica.
Tuttavia, questa scelta artistica, intrinsecamente legata alla tradizione scultorea occidentale e profondamente radicata nella storia dell’arte, si è scontrata con i filtri di Meta, percepiti come un giudizio arbitrario e, per l’artista, inaccettabile.
L’algoritmo, programmato per identificare e filtrare contenuti considerati “sensibili” o “inappropriati”, ha classificato le immagini e i video dell’opera come tali, limitandone drasticamente la visibilità.

La conseguenza diretta è stata una restrizione della diffusione non solo dei contenuti specifici, ma anche dell’account stesso di Jago.
Questo provvedimento, che impedisce a nuovi utenti di accedere al suo profilo, rappresenta una forma di limitazione della libertà di espressione e una potenziale ombra sulla capacità dell’artista di raggiungere un pubblico più vasto.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla responsabilità delle piattaforme digitali nel bilanciare la necessità di proteggere gli utenti con il diritto degli artisti di creare e condividere opere che esplorano la condizione umana in tutta la sua complessità, anche attraverso la rappresentazione del corpo.
La censura algoritmica, priva di un giudizio umano, rischia di soffocare la creatività e di impoverire il dibattito culturale, erigendo barriere in un mondo che dovrebbe celebrare la diversità delle espressioni artistiche.
La vicenda di Jago, quindi, si configura non solo come un singolo episodio, ma come un campanello d’allarme per la comunità artistica globale, invitando a una riflessione più ampia sul ruolo dei social media e sulla necessità di salvaguardare la libertà d’arte nell’era digitale.

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