Vent’anni separano l’esordio di Tekla Taidelli con “Fuori vena” e il suo ritorno al cinema con “6:06”, un intervallo segnato da un’intensa attività pedagogica e da un profondo impegno sociale.
Da oltre un decennio, la regista milanese (1977) dirige la Scuola di Street Cinema a Milano, un laboratorio artistico che offre agli studenti – spesso giovani provenienti da contesti marginali – gli strumenti per dare voce alle storie inespresse, attingendo a un patrimonio letterario vasto che spazia da Shakespeare a Pasolini, reinterpretato alla luce delle sfide contemporanee.
“Fuori vena”, un’opera coraggiosa che esplorava l’amore e la dipendenza con cruda autenticità, aveva riscosso unanime plauso, consacrando Tekla Taidelli come una voce nuova e potente nel panorama cinematografico italiano.
Il suo debutto a Locarno, con l’augurio beffardo di Claudio Caligari (“benvenuta tra i registi maledetti”), aveva preannunciato un percorso artistico intenso e privo di compromessi.
“6:06”, presentato in anteprima alle Giornate degli Autori durante la Mostra del Cinema di Venezia, rappresenta un’evoluzione significativa nella poetica di Taidelli.
Il film, prodotto da Argo Film, Tranky Film e Filmesdamente, e distribuito da LSPG Popcorn, è nato, come l’opera precedente, da un’esperienza personale profonda e dolorosa.
La regista, attraverso la sua narrazione, si confronta con i fantasmi del passato, con le fragilità e le cicatrici di un’esistenza segnata da scelte difficili e da un rapporto conflittuale con le sostanze.
Ma a differenza di “Fuori vena”, dove il dramma sembrava ineluttabile, in “6:06” emerge una speranza, una possibilità di redenzione.
La storia segue Leo (Davide Valle), un giovane intrappolato in una spirale di precariato e autodistruzione, che vive la sua esistenza in una dimensione monocromatica, votata alla ricerca spasmodica di denaro per alimentare la sua dipendenza.
Un improvviso “loop temporale” lo costringe a rivivere la stessa giornata all’infinito, fino a incrociare il cammino di Jo-Jo (George Li Tourniaire), una giovane donna francese segnata da un lutto devastante.
Jo-Jo, enigmatica e resiliente, introduce nella vita di Leo il colore, la possibilità di una nuova prospettiva, e lo convince a intraprendere un viaggio in Portogallo.
Questo viaggio non è solo geografico, ma interiore: un percorso di crescita personale, di confronto con i propri demoni, di ricerca di un significato più profondo nell’esistenza.
“6:06” si configura quindi come una metafora della capacità umana di superare le avversità, di reinventarsi, di abbracciare la possibilità di una rinascita.
“Dopo essere passata per l’inferno, vorrei che il mio cinema arrivasse a tutti per raccontare la felicità e la rinascita come valori universali,” confessa Taidelli.
Il film è un messaggio di speranza rivolto soprattutto alle nuove generazioni, spesso disilluse e afflitte da un senso di vuoto culturale e generazionale.
“È come se si incontrassero due parti di me, quella più tormentata e quella che riflette l’aver trovato un’armonia,” conclude la regista, offrendo uno sguardo intimo e commovente sul proprio percorso artistico e umano.