Il paradigma del lavoro, in rapida evoluzione nel contesto europeo, si confronta con una dicotomia sempre più marcata: da un lato, l’emergente richiesta di una settimana lavorativa più breve, modellata su un ideale di 35 ore e promossa come strumento di conciliazione vita-lavoro e incremento della produttività; dall’altro, la persistenza, seppur in diminuzione, di una cultura del lavoro intensivo, incarnata da una minoranza di lavoratori che dedica alla propria attività principale più di 48 ore settimanali.
I dati Eurostat del 2024 rivelano che il 6,6% della forza lavoro europea, compresa tra i 20 e i 64 anni, si trova ancora a lavorare in queste condizioni, una cifra che, pur rappresentando un calo significativo rispetto al passato (9,8% nel 2014 e 8,4% nel 2019), testimonia la resilienza di modelli lavorativi intensivi.
Questa tendenza, sebbene in calo, riflette la pressione economica e sociale che spinge una parte della popolazione a dedicare un tempo considerevole al lavoro, spesso a scapito del benessere personale e della qualità della vita.
L’analisi comparata tra i paesi membri dell’Unione Europea dipinge un quadro eterogeneo.
La Grecia emerge come il paese con la più alta incidenza di lavoratori “stacanovisti” (12,4%), seguita da Cipro (10%) e Francia (9,9%), mentre l’Italia si posiziona leggermente al di sopra della media europea con il 7,6%.
Al contrario, Bulgaria, Lettonia e Lituania mostrano tassi significativamente più bassi, suggerendo variazioni nelle politiche del lavoro, nelle condizioni economiche e nelle culture lavorative nazionali.
Un elemento cruciale nell’interpretazione di questi dati è la distinzione tra lavoratori dipendenti e autonomi.
La percentuale di lavoratori autonomi che lavorano per orari prolungati (27,5%) è notevolmente superiore a quella dei dipendenti (3,4%), un dato che evidenzia la maggiore flessibilità, ma anche la potenziale precarietà, che caratterizza spesso il lavoro autonomo.
L’assenza di regolamentazione oraria e la responsabilità totale della propria produttività possono spingere i lavoratori autonomi a dedicare un tempo eccessivo alla propria attività.
L’indagine sulla distribuzione delle ore lavorate per settore professionale rivela che i lavoratori qualificati dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, insieme ai dirigenti, sono i più esposti a orari di lavoro prolungati.
Questa correlazione potrebbe riflettere la natura spesso stagionale e dipendente dalle condizioni meteorologiche del settore agricolo, nonché le responsabilità gestionali e la pressione per raggiungere obiettivi di performance che gravano sui dirigenti.
Il dibattito in corso sulla settimana lavorativa ridotta e la difficoltà di avviare riforme legislative in Italia, come testimoniato dalla recente bocciatura di una proposta di legge, indicano la complessità di un cambiamento culturale e strutturale che coinvolge non solo i legislatori, ma anche i datori di lavoro e i lavoratori stessi.
La transizione verso un modello di lavoro più equilibrato e sostenibile richiede una riflessione approfondita sulle implicazioni economiche, sociali e individuali, al fine di garantire un futuro del lavoro che promuova il benessere e la prosperità per tutti.
La sfida consiste nel trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di produttività e la necessità di una vita lavorativa che non comprometta la salute e la qualità della vita.