L’Italia si trova a fronteggiare una sfida strutturale di portata significativa: un persistente divario di produttività che la separa dalle principali economie dell’Unione Europea.
Questo fenomeno, individuabile almeno dalla metà degli anni Novanta, non si è attenuato nel recente quinquennio 2019-2024, ma anzi, si è rivelato caratterizzato da una sostanziale immobilità complessiva.
L’analisi dei dati relativi agli ultimi trent’anni rivela una crescita media annua di soli dello 0,2%, un dato che contrasta nettamente con le performance di Paesi come Germania (1%), Francia (0,8%), Spagna (0,6%) e, in generale, con la media europea (1,2%).
Il primo Rapporto annuale sulla produttività del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) mette in luce questo quadro preoccupante, evidenziando il rischio concreto di un circolo vizioso che rischia di compromettere la crescita futura.
Questo meccanismo perverso si alimenta della combinazione di salari relativamente bassi, un investimento insufficiente in aree cruciali come la ricerca, l’innovazione tecnologica e la formazione del capitale umano, e una conseguente stagnazione della produttività.
La questione non si esaurisce in una semplice comparazione numerica.
Il divario di produttività riflette, infatti, una serie di fattori profondi che affliggono il sistema economico italiano.
Tra questi, si segnalano: una struttura industriale ancora fortemente legata a settori a basso valore aggiunto e con scarsa propensione all’innovazione; un tessuto imprenditoriale caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese (PMI) spesso penalizzate da barriere all’accesso al credito e da una difficoltà a competere su scala globale; una burocrazia complessa e farraginosa che ostacola gli investimenti e l’avvio di nuove attività; e, non ultimo, una carenza di investimenti in infrastrutture digitali e fisiche che limitano la capacità delle imprese di adottare nuove tecnologie e di migliorare l’efficienza operativa.
Il rischio di un circolo vizioso è particolarmente insidioso perché la stagnazione della produttività si traduce in una minore capacità di generare ricchezza, che a sua volta limita la possibilità di aumentare i salari e di investire in innovazione, perpetuando così il problema.
Per spezzare questo meccanismo, è necessario un approccio multidimensionale che coinvolga interventi strutturali in diversi ambiti: semplificazione burocratica, incentivi all’innovazione, potenziamento della formazione professionale, sostegno alle imprese, soprattutto alle PMI, nell’adozione di nuove tecnologie, e miglioramento delle infrastrutture digitali e fisiche.
La sfida è complessa e richiede un impegno congiunto da parte di istituzioni, imprese e lavoratori, ma rappresenta un imperativo per garantire un futuro di crescita sostenibile e prosperità per il Paese.
La produttività non è solo un indicatore economico, ma un elemento chiave per il benessere sociale e la competitività internazionale dell’Italia.