L’attività portuale di Genova è stata ieri teatro di una significativa protesta, orchestrata dal sindacato Usb e dai lavoratori portuali, a seguito della scoperta di un carico di armi militari statunitensi a bordo della nave Bahri Yambu, ormeggiata al terminal GMT.
La vicenda, venuta alla luce attraverso fotografie diffuse dai portuali stessi, ha immediatamente scatenato un’ondata di sconcerto e preoccupazione, sfociata nel blocco dei varchi Etiopia e Ponente, con conseguenti ripercussioni sul traffico pesante diretto al porto.
L’Usb ha formalizzato un esposto alle autorità competenti, richiedendo un’immediata verifica della regolarità della documentazione di carico e il rispetto delle normative vigenti.
Le prime rassicurazioni, giunte dalle autorità, hanno affermato che le armi non sarebbero state destinate a Israele e che la documentazione sarebbe risultata conforme.
Tuttavia, la persistente storica alleanza tra Stati Uniti e Israele alimenta sospetti e richiede una trasparenza piena e inequivocabile.
Per placare le tensioni e garantire una verifica indipendente, è stata prospettata la possibilità di consentire a una ristretta delegazione sindacale di accedere alla documentazione di imbarco, un gesto che, se realizzato, rappresenterebbe un passo importante verso la risoluzione della questione.
Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda l’imminente imbarco di un cannone, destinato a una nave della Fincantieri con rotta verso il porto di Abu Dhabi.
Nonostante le precedenti rassicurazioni ricevute dall’Autorità di Sistema Portuale, l’Usb ha deciso di proclamare uno sciopero, per tutelare i lavoratori che potrebbero essere coinvolti nel caricamento dell’arma e per ribadire la propria posizione di fermo rifiuto.
La protesta non si limita a una specifica circostanza, ma riflette una più ampia critica alla trasformazione del porto di Genova in un hub logistico per il settore militare.
L’Usb rivendica con forza il diritto del porto a essere un centro propulsivo per il turismo, il commercio e lo sviluppo economico civile, escludendo con fermezza qualsiasi funzione legata al traffico di armamenti.
La protesta è un chiaro monito: il futuro del porto deve essere orientato al progresso sociale e alla prosperità pacifica, non al supporto di conflitti e dinamiche geopolitiche potenzialmente destabilizzanti.
L’impegno del sindacato è garantire che il porto di Genova rimanga un motore di sviluppo sostenibile e un simbolo di apertura al mondo, e non un punto nevralgico di interessi militari.