venerdì, 20 Giugno 2025
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Sfruttamento in Abruzzo: condannato imprenditore, giovane pastore vittima.

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Il caso solleva una profonda riflessione sulla vulnerabilità umana e le dinamiche dello sfruttamento lavorativo, incarnato nella vicenda di un giovane migrante originario della Guinea, reclutato per il lavoro di pastore in Abruzzo. L’episodio, risalente al periodo 2017-2018, si è concluso con la condanna a un anno e tre mesi di reclusione, oltre a una sanzione pecuniaria di 750 euro e al pagamento delle spese legali, inflitta dal giudice Francesca Pinacchio del Tribunale di Sulmona a un imprenditore cinquantenne residente nella stessa città, ma con origini nella provincia di Frosinone.La vicenda non è semplicemente un racconto di irregolarità lavorativa, ma una manifestazione più ampia di un sistema di intermediazione illecita che si annida spesso nelle aree rurali, dove la domanda di manodopera a basso costo e le difficoltà di controllo rendono più facile lo sfruttamento di individui in condizioni di fragilità. La precarietà abitativa del giovane pastore, descritta come caratterizzata da condizioni igienico-sanitarie inadeguate, è un sintomo di tale vulnerabilità, esacerbata dalla sua condizione di migrante in un contesto economico e sociale spesso ostile.L’intervento dei Carabinieri della stazione di Goriano Sicoli, durante un controllo di routine, ha innescato l’inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Sulmona, dimostrando come anche un’azione di verifica ordinaria possa rivelare abusi nascosti. Le dichiarazioni rilasciate dal giovane pastore in caserma hanno fornito la chiave per svelare un sistema di sfruttamento che, altrimenti, sarebbe rimasto nell’ombra.Questo caso mette in luce diverse questioni cruciali. In primo luogo, evidenzia la necessità di una maggiore attenzione alla tutela dei diritti dei lavoratori migranti, spesso privi di informazioni e protezione, e quindi più suscettibili di essere sfruttati. In secondo luogo, sottolinea l’importanza di un controllo più rigoroso delle attività di intermediazione lavoro, per prevenire l’operare di soggetti senza scrupoli che mirano solo al profitto, a spese della dignità umana. Infine, spinge a riflettere sul ruolo della società civile e delle istituzioni nel contrastare fenomeni di illegalità e ingiustizia che si perpetrano nelle aree più periferiche e vulnerabili del paese. Il verdetto del giudice, seppur una giustizia riparatrice, rappresenta un segnale di allarme e un monito a rafforzare le misure di prevenzione e di protezione dei diritti fondamentali di ogni lavoratore.

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