La vicenda di Monia Bortolotti, la donna accusata della morte dei suoi due figli, Alice e Mattia Zorzi, ha scosso profondamente la comunità di Pedrengo e sollevato interrogativi complessi sul piano giuridico, psicologico e sociale.
La Procura di Bergamo, rappresentata dalla procuratrice Maria Esposito, ha formulato una richiesta di condanna all’ergastolo, aggravata dalla richiesta di un regime di isolamento diurno, ritenendo che l’azione di Bortolotti, deceduti rispettivamente a poco più di quattro mesi e a due mesi di età, non fosse frutto di un impulso incontrollabile, bensì il risultato di una decisione lucida e premeditata.
La ricostruzione accusatoria si basa sull’analisi delle dinamiche familiari, delle testimonianze raccolte e delle valutazioni dei professionisti sanitari coinvolti.
Secondo l’accusa, Bortolotti, una donna di 29 anni attualmente ricoverata in una Residenza per l’Assistenza a Persone con Disturbi del Comportamento, avrebbe agito sopraffatta da un senso di inadeguatezza e difficoltà nel gestire le esigenze dei suoi figli, incapace di tollerare i loro pianti e il peso della cura.
L’ipotesi è che abbia deliberatamente mascherato la sua reale condizione, ingannando familiari e specialisti psichiatrici con narrazioni distorte e fuorvianti, dimostrando una capacità di manipolazione che ne inficia la presunta responsabilità attenuante dovuta a un vizio di mente.
L’assenza di manifestazioni di rimorso, sottolineata dall’accusa, rafforzerebbe ulteriormente la percezione di una colpevolezza premeditata.
In netto contrasto con la prospettiva accusatoria, la difesa ha invocato l’applicazione di misure alternative alla detenzione, auspicando l’assoluzione o, quantomeno, un’attenuante per infermità mentale.
L’argomentazione difensiva si focalizza sulla presunta fragilità psichica della donna, sostenendo che le sue azioni siano state determinate da una compromessa capacità di intendere e di volere.
Si è pertanto richiesto un approfondimento delle valutazioni psichiatriche per accertare l’esistenza di una condizione patologica che possa giustificare un trattamento diverso dalla pena detentiva.
La vicenda Bortolotti si configura non solo come un tragico evento di cronaca nera, ma anche come un caso emblematico che mette in luce le complesse sfide legate alla salute mentale materna, alla gestione delle difficoltà genitoriali e alla necessità di un supporto adeguato per le famiglie in stato di vulnerabilità.
Il caso solleva interrogativi urgenti sulla diagnosi precoce dei disturbi psichiatrici, sull’efficacia dei servizi di assistenza domiciliare e sulla capacità del sistema giudiziario di affrontare situazioni così delicate, laddove si intrecciano responsabilità individuali e fattori sociali ed economici.
L’attesa per la sentenza, prevista per il 17 novembre, è intensa, e l’esito del processo avrà ripercussioni significative non solo per la donna imputata, ma anche per l’intera comunità, ponendo le basi per una riflessione più ampia sui diritti dei minori, la protezione delle famiglie e la responsabilità collettiva nella prevenzione di tragedie simili.