Il ruggito dell’Ippodromo La Maura di Milano, gremito da ottantamila anime, vibrava non di lutto, ma di attesa. I Linkin Park, proiettati verso un nuovo capitolo, irrompevano sulla scena con “From Zero”, un titolo che risuonava come una rinascita, un punto di partenza non netto, ma intriso di memoria e cambiamento. L’aria era carica di un sentimento complesso: il ricordo indelebile di Chester Bennington, un fantasma sacro eppure superato, e l’eccitazione per l’esordio di Emily Armstrong, la voce che si univa alla loro leggendaria alchimia.L’atmosfera, sospesa tra passato e futuro, si faceva più tangibile con le note malinconiche di “La solitudine” di Laura Pausini, scelta inaspettata che anticipava un viaggio emotivo. Sul maxischermo, il conto alla rovescia si concludeva in un’esplosione di luci, inaugurando il concerto con “Somewhere I Belong”, un brano estratto da “Meteora” che sembrava un atto di fede, una dichiarazione di identità. Emily Armstrong si presentava non come sostituta, ma come colei che portava avanti un’eredità, integrandosi con la potenza ritmica e la complessità delle musiche. “Out of the Bridge”, dal nuovo album, introduceva il tema della resilienza e della gratitudine. Mike Shinoda, con la sua consueta empatia, esprimeva l’apprezzamento per il sostegno del pubblico, invitando tutti ad accogliere Emily. “Abbracciate la mia nuova collega,” la sua voce risuonava, segnando un momento di passaggio, di transizione. L’esecuzione di “The Emptiness Machine” rivelava una nuova sfumatura nella loro capacità di fondere generi, un ibrido di rock, metal e hip hop che definisce la loro unicità. L’alternanza vocale tra Emily e Mike in “Burn It Down” illustrava la nuova dinamica della band, una sinergia che esaltava le rispettive forze. Il grido del pubblico, “Linkin Park!”, era un inno di riconoscimento, una conferma del loro status di icona. La spontanea risposta dei fan, “Emily, Emily!”, testimiava l’accoglienza calorosa riservata alla nuova voce. “Where You’d Go”, una ballata struggente, evocava la nostalgia e la perdita, un momento di profonda introspezione.L’esibizione di Mr. Hahn, il dj del gruppo, e la performance rap di Mike, fluida e potente, con un contatto diretto col pubblico, creavano un’esperienza immersiva. “Two Faced” faceva ballare la folla, mentre “One Step Closer” riportava tutti all’inizio, a quel momento di esplosione creativa che aveva fatto nascere la band.Il concerto, un caleidoscopio di nuove sonorità e classici intramontabili, passava attraverso “What I’ve Done”, un brano che risaltava per la sua assenza, un vuoto emotivo che il pubblico colmava con il canto. I giochi di luce, con fasci laser che squarciavano il cielo, creavano un’atmosfera surreale. Un’espressione spontanea del pubblico, “sei bellissima”, raggiungeva Emily, che rispondeva con un sorriso e un gesto di incoraggiamento. “Numb”, un inno generazionale, scatenava un coro assordante.I bis, con “Papercut”, “A Place for My Heart”, “Heavy in the Crown” e “Bleed It Out”, siglavano un concerto che non era una chiusura, ma una promessa: quella di un futuro musicale ricco di sorprese, di emozioni, di nuove voci che si uniscono a un’eredità leggendaria. Il viaggio, lungi dall’essere finito, continuava.
Linkin Park a Milano: Rinascita, Eredità e Nuova Voce
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