Milano si interroga, con un’urgenza che travalica i confini del dibattito locale, sulla sorte del Leoncavallo, uno spazio che incarna un’eredità culturale e sociale di profonda valenza. Un appello, vibrante e corale, si leva per scongiurare uno sfratto che ne segnerebbe la fine, privando la città di un laboratorio di idee, un crogiolo di creatività e un punto di riferimento per molte generazioni.Figure di spicco come Paolo Rossi, interprete dell’umorismo intelligente e capace di intercettare le contraddizioni del reale, Franco Berardi “Bifo”, pensatore radicale e analista della comunicazione nell’era digitale, e Sandrone Dazieri, scrittore attento alle fragilità umane e alle dinamiche del potere, hanno appoggiato l’iniziativa, riconoscendo nel Leoncavallo un patrimonio da proteggere.L’appello non si limita a una mera protesta, ma sollecita una riflessione più ampia sul ruolo degli spazi informali nella vita urbana. Questi luoghi, spesso marginalizzati e considerati “anomali” dal punto di vista delle politiche urbanistiche, si rivelano cruciali per la formazione identitaria, lo scambio culturale e la sperimentazione artistica. Sono ambienti dove si intrecciano percorsi formativi non convenzionali, dove si sviluppano competenze trasversali e si coltiva lo spirito critico.Il Leoncavallo, in particolare, rappresenta un esempio emblematico di come un’ex fabbrica dismessa possa essere riqualificata, non come mero contenitore commerciale, ma come un ecosistema sociale vivace e dinamico. Ha ospitato concerti, performance artistiche, laboratori, incontri politici, divenendo un punto di riferimento per movimenti sociali e per chiunque si senta al di fuori dei circuiti istituzionali.La richiesta non è quindi quella di preservare un monumento immobile nel tempo, ma di favorire la sua evoluzione, garantendo una governance partecipata che tenga conto delle esigenze di chi lo vive e lo utilizza. Si tratta di costruire un’alternativa sostenibile, che possa coniugare l’autonomia della comunità con la necessità di una cornice legale che ne garantisca la continuità.Perdere il Leoncavallo significherebbe amputare un pezzo di memoria collettiva, impoverire il tessuto sociale milanese e soffocare le potenzialità di un futuro più inclusivo e creativo. L’appello è un invito a non rinunciare a questo futuro, a investire nelle risorse umane e culturali che lo rendono possibile, a riconoscere che la vitalità di una città non si misura solo con i grattacieli e le vetrine scintillanti, ma anche con la presenza di luoghi dove le voci del cambiamento possono trovare spazio e risonanza. La questione Leoncavallo è, in definitiva, una questione di futuro per Milano.
Salvare il Leoncavallo: appello per un futuro culturale a Milano.
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