domenica 14 Settembre 2025
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Qatar: L’Egitto Rilancia l’Unità Araba e Sfida Israele

Il recente evento dirompente in Qatar ha innescato una rielaborazione strategica delle dinamiche regionali, con l’Egitto che sembra voler riaffermare un ruolo di leadership nel panorama arabo.

Secondo indiscrezioni emerse da fonti vicine all’intelligence libanese, citate dal quotidiano Al-Akhbar, il Cairo sta attuando una graduale diminuzione dei canali diplomatici con Israele, parallelamente alla ripresa di un progetto ambizioso, precedentemente accantonato: la creazione di una forza militare congiunta araba.
Questa iniziativa, lungi dall’essere una reazione impulsiva, affonda le sue radici in una visione politica a lungo termine.
Il presidente al-Sisi, apparentemente, intende rilanciare il sostegno arabo, recuperando un’unità d’intenti che, negli ultimi anni, si è progressivamente erosa.

L’obiettivo è la creazione di una struttura di difesa collettiva, modellata in parte sui principi dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), ma adattata al contesto geopolitico del mondo arabo.

Una forza capace di agire in maniera proattiva, dissuadendo potenziali aggressori e, qualora necessario, intervenendo per tutelare la sovranità e la sicurezza di qualsiasi nazione araba minacciata.
L’opportunità del vertice arabo-islamico di Doha si configura come un momento cruciale per formalizzare questa proposta, che, come rivela un funzionario egiziano di alto livello, è stata originariamente avanzata nove anni fa, trovando inizialmente una resistenza significativa.

La speranza del Cairo è quella di catalizzare un consenso diffuso, superando le tradizionali divisioni e le complessità logistiche che hanno finora ostacolato la sua attuazione.

Tuttavia, l’ostentazione di ottimismo deve essere temperata da una consapevolezza dei numerosi ostacoli che ancora si frappongono alla realizzazione concreta di un progetto di tale portata.
Le divergenze ideologiche, le rivalità economiche e le priorità strategiche divergenti tra le nazioni arabe rappresentano sfide significative.
In particolare, il nodo cruciale risiede nella definizione di protocolli operativi precisi, che regolino i tempi di risposta in caso di attacco e i meccanismi decisionali che ne determinino l’attivazione.

Chi decide quando intervenire? Quali saranno i criteri per l’allocazione delle risorse e la condivisione degli oneri? La risposta a queste domande, delicatissime, determinerà il successo o il fallimento di questa iniziativa, che, se realizzata, potrebbe ridisegnare profondamente gli equilibri di potere nel Medio Oriente.

La sua creazione, infatti, implicherebbe un significativo spostamento di paradigma nella gestione della sicurezza regionale, assumendo implicazioni che vanno ben oltre la semplice protezione militare.

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