Agostino o pazzo: Napoli saluta un’icona ribelle

Antonio Mellino, universalmente riconosciuto come Agostino “o pazzo”, ha lasciato un’impronta indelebile nella memoria collettiva napoletana, morendo a settantadue anni.
La sua figura, intrisa di audacia giovanile e ribellione, si materializzò nell’estate del 1970, un periodo di profonda fermentazione sociale e politica nella città.
In sella alla sua Gilera 125, oggetto di modifiche per esaltarne le prestazioni, Agostino incarnò una sfida aperta all’autorità, trasformando le strade napoletane in un palcoscenico di acrobazie mozzafiato e fughe rocambolesche.

Il soprannome, omaggio al leggendario Giacomo Agostini, non era solo un’ispirazione motociclistica, ma una dichiarazione di intenti: la volontà di emulare l’eccellenza e la capacità di superare i limiti, seppur in un contesto urbano complesso e spesso ostile.
La sua abilità nel seminare i controlli, sfrecciando tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli con impennate vertiginose, lo trasformò rapidamente in un eroe popolare, un simbolo di resistenza contro un sistema percepito come oppressivo.
L’estate del ’70 a Napoli fu un crogiolo di tensioni, alimentate da disuguaglianze sociali e da un clima di crescente repressione.
Le gesta di Agostino “o pazzo”, lungi dall’essere semplici bravate giovanili, si configurarono come un atto di protesta, un modo per esprimere il malcontento diffuso e per catalizzare l’attenzione su una realtà spesso ignorata.

Le sue azioni si intrecciarono con la spirale di violenza che culminò negli scontri di Piazza Trieste e Trento, dove la popolazione si schierò apertamente dalla sua parte.

L’arresto, avvenuto a settembre dello stesso anno, segnò una tappa significativa, ma non cancellò il mito che si era ormai consolidato.

La sua notorietà non passò inosservata agli occhi del regista Umberto Lenzi, figura chiave del genere ‘poliziottesco’, un filone cinematografico di grande successo nell’Italia degli anni Settanta.

Lenzi riconobbe in Agostino “o pazzo” un personaggio autentico, capace di incarnare lo spirito ribelle e anticonformista dell’epoca, inserendolo in alcune delle sue pellicole, come “Un posto ideale per uccidere”, dove condivise il set con icone come Irene Papas e Ornella Muti.
Dopo aver appeso la Gilera al chiodo, Agostino intraprese una nuova attività, aprendo un antiquario in Piazza Gerolomini, un luogo simbolo del passato napoletano, forse per cercare un’ancora di salvezza in un mondo in continuo mutamento, portando con sé il ricordo di un’epoca di passione, audacia e ribellione.
La sua scomparsa rappresenta la fine di un’era, ma il suo mito continua a vivere nei racconti e nella memoria di chi ha avuto la fortuna di assisterlo nelle sue straordinarie imprese.

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