sabato, 14 Giugno 2025
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CEDU e cambiamento climatico: un caso italiano senza successo.

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La recente decisione della Corte europea dei diritti umani (CEDU) riguardo ai ricorsi presentati da due giovani cittadine italiane ha segnato un punto fermo nel complesso e in evoluzione panorama legale legato alla responsabilità statale in relazione al cambiamento climatico. I ricorsi, presentati nel marzo del 2021, miravano a contestare l’inerzia dei governi italiani e di altri stati europei nell’affrontare la crisi climatica, sostenendo che tale inazione avesse direttamente causato danni alla salute delle ricorrenti. Questa decisione si inserisce in un contesto di crescente consapevolezza del legame tra impatti ambientali e diritti umani, come dimostrato dai precedenti, significativi, casi che hanno coinvolto la Svizzera e il Portogallo.Le due giovani, nate rispettivamente nel 2000 e nel 2002 e residenti a Sedico (Belluno) e Ferrandina (Matera), hanno articolato i loro ricorsi evidenziando come i cambiamenti climatici stessero, a loro dire, compromettere il loro benessere fisico e psichico. La ricorrente di Sedico ha descritto un profondo disagio emotivo, aggravato da un’ansia paralizzante di fronte a eventi meteorologici estremi, come la devastante tempesta Vaia, e dalla prospettiva di un futuro climatico sempre più inospitale. La giovane di Ferrandina, invece, ha sottolineato la vulnerabilità della sua comunità agli impatti crescenti del cambiamento climatico, tra cui ondate di calore sempre più intense, fenomeni alluvionali e un aumento delle malattie allergiche e respiratorie, direttamente correlate all’aumento delle temperature.La valutazione dei ricorsi da parte della CEDU si è basata sui criteri cruciali precedentemente definiti nell’analisi dei casi contro la Svizzera e il Portogallo, criteri volti a stabilire se un individuo possa essere considerato una vittima di violazione dei propri diritti in relazione al cambiamento climatico. Questi criteri prevedono un’elevata intensità dell’esposizione agli effetti negativi del clima e la necessità di una protezione particolarmente pressante per l’individuo.La CEDU ha concluso che le ricorrenti italiane non hanno fornito prove sufficientemente robuste a sostegno delle loro affermazioni. Tale decisione, pur rappresentando un ostacolo immediato per le due giovani, apre a una più ampia riflessione sulla natura delle prove necessarie per dimostrare il nesso di causalità tra l’inerzia politica e i danni alla salute.La decisione sottolinea la difficoltà di tradurre in termini legali e provabili le complesse dinamiche del cambiamento climatico e le sue ripercussioni sulla salute umana. Tuttavia, evidenzia anche la crescente importanza di un approccio proattivo e basato sui diritti umani nella gestione della crisi climatica, richiedendo agli stati di adottare misure più incisive per proteggere le generazioni future e garantire un ambiente sano e sostenibile per tutti. La decisione non preclude la possibilità di future azioni legali, ma inquadra il dibattito in una prospettiva che esige una maggiore precisione e un rafforzamento delle prove a sostegno delle pretese di violazione dei diritti fondamentali.

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