Dalla candela che vacilla al labirinto dell’anima: due spettacoli, un interrogativoL’eco di una domanda semplice, ma lacerante, risuona in questi giorni alla Biennale di Venezia: “E dopo?”. Questa frase, nata dal cuore di *Pinocchio*, si fa fulcro di *Che cosa è una persona?*, un’opera intensa e commovente firmata da Davide Iodice e dalla Scuola Elementare del Teatro APS. Il progetto, nato dalla collaborazione con ragazzi con diverse abilità – sindrome di Down, Asperger, autismo – abbraccia il personaggio di Collodi come un fratello simbolico, un compagno di viaggio nella ricerca di un’identità autentica. Lo spettacolo non è una rielaborazione fedele del testo originale, ma una trasfigurazione profonda. I genitori e i tutori, presenti in scena, inizialmente proiettano sui giovani un futuro di normalità illusoria, un miraggio svelato dai nasi di Pinocchio che compaiono inaspettati, come monito contro l’inganno. Ogni personaggio diventa così un Pinocchio in cerca della propria essenza, di un diritto alla serenità e all’espressione di sé, un diritto troppo spesso negato. Le difficoltà e le peculiarità di ciascuno si rivelano non come limiti, ma come manifestazioni uniche di un potenziale inespresso, un invito a superare i pregiudizi e ad abbracciare la diversità. Il Grillo Parlante, schiacciato dai fraintendimenti, incarna la sofferenza di chi si sente costretto a vivere una condizione imposta. Un girotondo corale, che si evolve in scene ispirate alla Commedia dell’Arte, con l’irruzione di Colombina e Arlecchino liberati dai ruoli stereotipati, celebra la gioia della liberazione e dell’amore incondizionato.Ma la ricerca di significato non si arresta alla superficie. Il testo si apre a una riflessione più ampia: cosa significa essere umani in un mondo che spesso ci respinge, che ci nega la possibilità di crescere e di realizzarci?In questo contesto, l’opera di Romeo Castellucci, *I mangiatori di patate*, si configura come un parallelo inquietante e destabilizzante. Ambientato nel suggestivo e decadente Lazzaretto Vecchio di Venezia, uno spazio carico di storia e di sofferenza, lo spettacolo non offre risposte facili. L’esperienza sensoriale è immersiva e scomoda: sacchi neri che si agitano, una tempesta di rumori assordanti, l’oscurità che avvolge lo spettatore. L’irruzione dei minatori, con le loro luci fioche, rivela gradualmente un corpo femminile, immobile e nudo, contenuto in un sacco. In questo scenario apocalittico, un angelo con la testa tra le mani osserva, immobile.Castellucci non offre una narrazione lineare. Il titolo, che richiama il celebre quadro di Van Gogh, si rivela un inganno, un pretesto per addentrarsi in un labirinto di simboli e di emozioni contrastanti. Un elenco di parole apparentemente sconnesse – “Caduta”, “Statua”, “Fame”, “Caricatura”, “Storia”, “Affetto”, “Amico” – invita lo spettatore a interpretare ciò che vede, a costruire il proprio senso dell’opera. Un’esperienza che può evocare Biancaneve, ma anche qualcosa di molto più oscuro e complesso.Entrambi gli spettacoli, pur nella loro radicale diversità, affrontano un interrogativo fondamentale: come trovare il proprio posto nel mondo, come dare senso alla propria esistenza? *Che cosa è una persona?* risponde con la forza dell’inclusione e della speranza, *I mangiatori di patate* con il silenzio angosciante di un abisso inesplorato. E forse, è proprio in questo contrasto che risiede la profondità del loro significato. La domanda sussurrata da Pinocchio continua a risuonare, un monito a non smettere mai di cercare, di interrogare, di essere.
Pinocchio e l’abisso: Venezia risponde a E dopo?
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