La vicenda di Capizzi, tragicamente culminata nella morte del sedicenne Giuseppe Di Dio e nel ferimento di un suo coetaneo, emerge come un epilogo sanguinoso di un clima di minacce e intimidazioni latenti.
Le parole di un testimone chiave, riportate in un servizio del Tg1, gettano luce su un contesto inquietante, rivelando una spirale di violenza premeditata e una pericolosa escalation di ostilità.
Il racconto del testimone, intriso di paura e rammarico, dipinge un quadro di crescente tensione.
Due settimane prima della fatale sparatoria del sabato sera, l’uomo era stato oggetto di minacce dirette da parte di Giacomo e Mario Frasconà, i due fratelli ora al centro delle indagini per l’omicidio, accompagnati dal padre Antonio.
Un avvertimento, un presagio inquietante: “Vieni al cancello”.
L’uomo, consapevole del potenziale pericolo e della ferrea determinazione dei Frasconà, scelse di ignorare l’invito, una decisione che, con tragica ironia, non lo risparmiò dalla spirale di violenza che avrebbe poi inghiottito il giovane Giuseppe Di Dio.
La sparatoria, descritta come un’esecuzione premeditata, ha fatto emergere una dinamica di conflitto radicato, le cui origini e motivazioni restano ancora in parte oscure.
I Frasconà, con il padre a loro supporto, hanno aperto il fuoco, colpendo mortalmente Giuseppe e ferendo un suo amico.
La sequenza degli eventi, breve e brutale, ha scosso profondamente la comunità di Capizzi.
Il testimone, esplicitamente interrogato sulla possibilità che la sua persona fosse il bersaglio primario, ha espresso un profondo rammarico e un senso di colpa, ammettendo di temere che il tragico destino di Giuseppe avrebbe potuto essere il suo.
Questa confessione rivela non solo la precarietà della sua incolumità, ma anche il peso emotivo di un evento che lo ha lasciato segnato.
La richiesta di un regime carcerario a vita per i responsabili, espressa con un filo di speranza, sottolinea il desiderio di un definitivo allontanamento dalla società di chi ha spezzato la giovane vita di Giuseppe e ha contribuito a creare un clima di terrore e insicurezza nel piccolo paese di Capizzi.
La vicenda, al di là della sua immediatezza, solleva interrogativi più ampi sulla tenuta del tessuto sociale, sulla gestione dei conflitti e sulla necessità di interventi mirati a prevenire la recrudescenza della violenza.
L’eco delle parole del testimone, testimonianza di un trauma profondo, risuona come un monito per il futuro, invitando a riflettere sulle cause profonde di questa tragedia e a lavorare per un cambiamento radicale.







