La giustizia messinese ha emesso una sentenza di profonda gravità, condannando a tredici anni di reclusione un istruttore di danza, figura di riferimento per diverse giovani allieve, per una serie di abusi sessuali che hanno coinvolto tre minorenni, inclusa una parente. La vicenda, riportata dalla Gazzetta del Sud, solleva interrogativi complessi sul ruolo di figure di autorità e sulla vulnerabilità dei minori.Il processo, seguito con grande attenzione nell’ambito provinciale, si è concluso con una condanna che riflette la serietà delle accuse mosse all’imputato, superando la richiesta di condanna avanzata dal procuratore Giuseppe Verzera, che aveva chiesto dodici anni e dieci mesi. L’arresto era avvenuto nel febbraio precedente, a seguito delle denunce presentate dai genitori delle vittime, un atto coraggioso che ha permesso l’avvio delle indagini e il successivo processo.Le dinamiche che hanno reso possibile tali abusi sono particolarmente inquietanti. Nel primo caso, una bambina di undici anni veniva affidata quotidianamente all’istruttore dalla madre, costretta a conciliare le esigenze lavorative con la cura della figlia, creando una situazione di potenziale abuso di fiducia. Questa delega, seppur motivata da necessità, ha offerto all’imputato un’opportunità per esercitare la sua predatività.Le accuse, formulate a carico dell’uomo, non si limitano alla violenza sessuale. L’istruttore è accusato anche di aggressioni fisiche, come percosse e insulti, e di minacce particolarmente efferate, con la promessa di infliggere gravi lesioni a un altro allievo, arrivando a minacciare il taglio della gola. Questi comportamenti rivelano un quadro di abuso di potere e di controllo psicologico, che ha minato la sicurezza e il benessere dei giovani danzatori.La sentenza, pur rappresentando un atto di giustizia nei confronti delle vittime, non cancella il trauma subito e non risolve le questioni strutturali che hanno permesso a una figura di riferimento come un istruttore di danza di abusare della sua posizione. L’evento sottolinea l’importanza di una maggiore sensibilizzazione nei confronti dei minori, di controlli più stringenti sulle figure che operano in contesti di affido e di un profondo ripensamento dei meccanismi di tutela della vulnerabilità dei giovani.Gli avvocati difensori, Cettina Crupi e Daniele Pagano, hanno annunciato l’intenzione di presentare appello, innescando un ulteriore atto del procedimento giudiziario e aprendo la strada a possibili revisioni delle prove e delle interpretazioni giuridiche. La vicenda, lungi dall’essere conclusa, continua a sollevare interrogativi cruciali sulla responsabilità individuale e collettiva nella protezione dei minori.
Condanna a 13 anni: l’istruttore di danza colpevole di abusi
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