L’estate volge al termine su Linosa, un’isola di poche centinaia di anime incastonata nel cuore del Mediterraneo.
Qui, l’amicizia tra Ettore e Giovannino, due ragazzi in bilico tra l’infanzia e le prime soglie dell’adolescenza, si appresta a infrangersi contro la cruda realtà di una separazione imminente.
Ettore, ormai undicenne, dovrà lasciare l’isola per proseguire gli studi sulla terraferma, lasciando Giovannino, sette anni, a confrontarsi con un vuoto incolmabile.
“Sciatunostro”, il nuovo film di Leandro Picarella, presentato in concorso a Progressive Cinema alla Festa di Roma, cattura questa malinconia, questa perdita percepita come un’esilio, con una sensibilità rara.
Il film non è una narrazione convenzionale, ma piuttosto un affresco intimo e vivido della vita isolana, filtrato attraverso lo sguardo innocente dei due protagonisti e immortalato dalle pellicole di Pino, un anziano videoamatore.
Pino è l’archivio vivente di Linosa, un custode silenzioso di ricordi che scandiscono il tempo dell’isola: le feste paesane, la bellezza selvaggia del paesaggio, la quotidianità degli abitanti, il volo dei gabbiani, la danza incessante del mare.
Attraverso le sue riprese, Pino offre a Giovannino, e a chiunque si senta pervaso dalla nostalgia, un rifugio, un modo per anestetizzare il dolore della perdita.
“Sciatunostro” è un documentario di situazioni apparentemente ordinarie, ma densamente cariche di significato.
La videocamera di Pino, e il massiccio hard disk che custodisce i suoi filmati – due terabyte di memorie – diventano metafore potenti del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, dell’isolamento, del distacco e, soprattutto, dell’ineluttabile scorrere del tempo.
Il film ci ricorda che ogni sguardo, ogni gesto, ogni momento, anche il più banale, può acquisire un valore inestimabile quando percepito attraverso la lente del ricordo.
Leandro Picarella, con il suo quarto lungometraggio, ci regala un’opera essenziale, nata da un desiderio profondo: restituire voce a una memoria collettiva che rischia di sbiadire, tentare di definire un sentimento universale, quello della prima separazione, di fronte alla perdita di una persona cara o di un luogo significativo.
L’isola di Linosa non è semplicemente lo sfondo di questa storia; è un personaggio a sé stante, un organismo vivente pulsante di identità e di storia.
È la materializzazione del silenzio, del vento, della luce, della memoria, un palcoscenico dove si intrecciano i destini di chi è nato, cresciuto e vissuto in quell’angolo di mondo, un eco che rimbalza tra le generazioni, un “sciatu” – il vento caldo del sud – che sussurra storie di ieri e di oggi.






