Le cicatrici indelebili incise dal conflitto israelo-palestinese rischiano di ereditare un fardello genetico, una memoria collettiva dolorosa che compromette la possibilità stessa di una riconciliazione duratura.
La mera cessazione delle ostilità, sebbene accolta con un sollievo palpabile – come testimonia l’espressione di sollievo del Presidente della Repubblica – non è che un palliativo.
Essa allevia l’immediato dolore, ma non affronta le radici profonde della frattura.
L’illusione di una pace semplice e immediata, alimentata da un temporaneo smarrimento della violenza, rischia di mascherare la necessità di un ripensamento radicale.
Il presente accordo, per quanto importante come pausa nel ciclo di conflitto, si rivela frammentario se non supportato da una visione politica di ampio respiro, capace di ispirare una fiducia autentica nei palestinesi, una prospettiva di futuro che vada al di là della mera sopravvivenza.
La sfida cruciale non è tanto quella di negoziare il futuro, ma di ricostruire un terreno comune di fiducia, un’empatia che permetta di riconoscere l’umanità dell’altro, di comprendere le storie di sofferenza, le paure e le aspirazioni che si tramandano di generazione in generazione.
Questo richiede un impegno costante a decostruire narrazioni distorte, a contrastare l’odio e la demonizzazione, a promuovere il dialogo interculturale e l’educazione alla pace.
Non si tratta di una responsabilità esclusiva dei leader politici, ma di un dovere che coinvolge ogni individuo, ogni comunità, ogni istituzione.
L’assenza di una soluzione politica equa e duratura, che garantisca la sicurezza, la dignità e i diritti fondamentali di entrambi i popoli, continuerà a generare instabilità e disperazione, perpetuando il ciclo di violenza.
Il Presidente Mattarella, con la sua prudente lucidità, ci invita ad andare oltre l’entusiasmo iniziale, a non dimenticare le gravi lacune dell’accordo e le problematiche irrisolte che ancora incombono.
L’auspicio è che questo sollievo temporaneo possa essere l’occasione per avviare un processo di riflessione profonda e un impegno concreto verso una soluzione giusta e duratura, che riconosca la legittimità delle aspirazioni di entrambi i popoli e che ponga le basi per un futuro di convivenza pacifica e prospera.
La memoria del dolore, anziché una condanna, deve diventare un motore per la costruzione di un futuro migliore.