Un acceso dibattito etico e politico ha infiammato Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, in concomitanza con i Campionati Mondiali di Mondioring, un evento che vede la partecipazione di atleti provenienti da venti nazioni.
Il presidio di protesta, tenutosi all’esterno del campo sportivo, ha catalizzato l’attenzione su una questione ben più ampia rispetto alla mera competizione canina: la legittimità della partecipazione di rappresentanti israeliani a un evento internazionale, sullo sfondo del conflitto in corso nella regione.
I Mondiali, in corso a Cuneo dal mercoledì e protratti fino a domenica, hanno visto convergere delegazioni da tutto il mondo, ma l’inclusione di sette atleti israeliani ha innescato un’ondata di contestazione.
Gli organizzatori del presidio, che si appella a una sensibilità verso i diritti umani e alla solidarietà internazionale, sostengono che tre di questi atleti abbiano legami diretti con le forze armate israeliane, sollevando interrogativi sulla loro idoneità a rappresentare il proprio paese in un contesto di competizione sportiva.
La presenza di personale militare, o ex militare, in un evento che celebra l’armonia tra uomo e cane, appare a molti come una provocazione, una dissonanza inaccettabile.
Il presidio, promosso dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova, ha rapidamente raccolto il sostegno di numerose realtà sociali e sindacali.
USB Piemonte, Potere al Popolo, e il coordinamento Cuneo per Gaza hanno rafforzato la manifestazione, amplificando la voce di dissenso e rendendo evidente la portata politica del gesto.
La protesta non si limita a una critica specifica agli atleti israeliani, ma si proietta in una denuncia più ampia contro le politiche del governo israeliano e la sua gestione del conflitto palestinese.
L’amara ironia della situazione non è sfuggita agli attivisti: mentre i concorrenti russi sono stati esclusi dalle competizioni a seguito delle sanzioni internazionali conseguenti al conflitto in Ucraina, gli atleti provenienti da uno stato accusato di sterminio di massa (riferendosi, implicitamente, alle azioni israeliane nei territori palestinesi) continuano a essere ammessi a partecipare a eventi globali.
Questa disparità di trattamento, secondo Alessio Maglione del CALP Genova, evidenzia una profonda incoerenza nel sistema di valori che dovrebbe guidare le relazioni internazionali e le decisioni sportive.
Il presidio di Borgo San Dalmazzo si configura quindi come un atto di resistenza simbolica, un tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica e di esercitare pressione sulle istituzioni sportive affinché adottino criteri di ammissione più rigorosi e coerenti con i principi dei diritti umani.
La questione sollevata non è solo una controversia sportiva, ma un riflesso delle profonde fratture geopolitiche e delle tensioni morali che caratterizzano il nostro tempo.
L’evento ha riacceso il dibattito sull’etica dello sport come strumento di diplomazia e sulla responsabilità delle organizzazioni sportive nel promuovere valori di pace, giustizia e rispetto dei diritti fondamentali.







