sabato 6 Dicembre 2025

Torino in Piazza: 30mila contro il silenzio istituzionale su Gaza.

Un’onda di sdegno e resilienza ha travolto Torino, riversando nelle strade una folla stimata in trenta mila persone, un’espressione di dissenso proveniente da ogni angolo del Piemonte e della regione limitrofa.
Da Verbania a Cuneo, da Alessandria a Biella, un’ampia geografia di comunità si è unita per denunciare un silenzio istituzionale percepito come complice di una tragedia umanitaria.

L’evento, organizzato dal Coordinamento Torino per Gaza, ha rappresentato una risposta diretta al recente voto del Consiglio Regionale, che ha negato l’opportunità di discutere una mozione a favore della sospensione degli accordi economici, di ricerca e diplomatici con lo Stato di Israele.
Questa decisione, a giudizio degli organizzatori e dei manifestanti, tradisce il mandato popolare e perpetua una politica di sostegno indiretto a un conflitto che si protrae da decenni.
Il Coordinamento denuncia un sistema di potere globale, intrecciato tra interessi economici bellici e dinamiche geopolitiche complesse, che alimenta la sofferenza del popolo palestinese.

L’accusa non è rivolta unicamente al governo Netanyahu, ma si estende al sionismo come ideologia e sistema di potere, percepito come responsabile di un progetto espansionistico a spese della popolazione locale.

La resistenza palestinese, in questa prospettiva, non è solo una lotta per la sopravvivenza fisica, ma anche un esempio di coraggio morale e di sfida a un ordine mondiale ingiusto, un faro che illumina la coscienza di chi, in occidente, si interroga sulla propria responsabilità.

La manifestazione si è conclusa con un collegamento simbolico con la Flotilla, un’iniziativa che incarna la volontà di rompere l’assedio di Gaza e di portare aiuti umanitari alla popolazione.
Questo collegamento ha rafforzato il senso di solidarietà e ha sottolineato l’importanza del supporto popolare come motore di cambiamento.

In particolare, è stato ribadito l’appello ad una massiccia partecipazione allo sciopero generale del 22 settembre, un atto di disobbedienza civile volto a interrompere le catene della filiera bellica che, a detta degli organizzatori, è alla base del conflitto.
La speranza è che, se i governi dovessero dimostrarsi incapaci di agire, la responsabilità di fermare il genocidio ricada direttamente sulle coscienze e sulle azioni dei cittadini.

La protesta non è solo una denuncia, ma un invito all’azione, un atto di responsabilizzazione collettiva in un mondo in cui la giustizia sembra spesso distante e inaccessibile.

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