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Piemonte

Biella, omicidio Santus: sentenza storica, ergastolo e depistaggio.

Il caso di Giovanni Santus, un uomo senza dimora deceduto a Biella nel luglio 2023, ha scosso profondamente l’opinione pubblica e portato a una sentenza storica emessa dalla Corte d’Assise di Novara.
La vicenda, inizialmente celata dietro una colpevole omissione e un tentativo di simulazione, è emersa per la sua tragica complessità grazie all’incessante lavoro della Procura e alla perizia medico-legale.
Andrea Basso e Lionel Ascoli sono stati condannati all’ergastolo per l’omicidio volontario aggravato, un verdetto che riflette la brutalità e la premeditazione del gesto.
La ricostruzione processuale ha demolito la versione iniziale fornita dagli imputati, secondo la quale Santus si sarebbe procurato ustioni fatali durante una doccia.

L’autopsia, infatti, ha rivelato lesioni incompatibili con una tale ipotesi: lo sfondamento della cassa toracica e la lacerazione di organi vitali come fegato e tiroide, segni inequivocabili di un’aggressione fisica violenta.
Secondo l’accusa, la dinamica dell’omicidio si è consumata durante un pranzo, innescata da un banale litigio: Santus, apparentemente per una questione di ristoro, avrebbe consumato una bottiglia di gin senza condividerla con gli altri presenti.

Sotto l’effetto congiunto di eroina e rivotril, Basso e Ascoli avrebbero reagito con una furia inaudita, colpendo ripetutamente la vittima con pugni, calci e persino saltandole sul torace.

Il gesto, non un atto impulsivo, ma frutto di una spirale di tossicodipendenza e aggressività repressa, ha avuto conseguenze fatali.

La gravità del quadro è stata ulteriormente amplificata dalla condotta di Silvio Iarussi e Luciana Mula, il primo proprietario dell’alloggio, la seconda presumibile convivente.
Condannati rispettivamente a due anni e sei mesi e a due anni e due mesi per omissione di soccorso e vilipendio di cadavere, i due hanno contribuito a depistare le indagini.

Non solo non hanno allertato i soccorsi, ma si sono attivamente prodigati per occultare le prove del crimine.

L’incendio del corpo, con l’obiettivo di cancellare le lesioni e simulare un incidente, rappresenta un atto di gravissima ostilità e un tentativo di eludere la giustizia.
La vicenda solleva interrogativi profondi sulla marginalità sociale, la tossicodipendenza, e la vulnerabilità delle persone senza dimora.
La costruzione di una narrazione falsa, la depistaggio delle indagini, e l’incendio del corpo dimostrano una premeditazione e una mancanza di scrupoli che rendono questo caso particolarmente efferato.
La sentenza, pur non potendo restituire la vita a Giovanni Santus, rappresenta un atto di giustizia e un monito per la società.
La vicenda ci impone una riflessione urgente sui meccanismi di esclusione sociale che possono condurre a tragedie di questa portata, e sulla necessità di garantire protezione e dignità a coloro che si trovano ai margini della comunità.

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