La recente evasione di un giovane detenuto romeno, ventunenne e ristretto nel carcere minorile di Casal del Marmo, dall’Ospedale San Filippo Neri di Roma, solleva interrogativi urgenti sulla sicurezza e sulla gestione del sistema penitenziario minorile italiano.
 L’evento, prontamente segnalato dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), non è un episodio isolato, ma un sintomo di criticità strutturali che affliggono le istituzioni penali dedicate ai minori.
La priorità immediata, sottolinea Maurizio Somma, segretario regionale del Sappe per il Lazio, è la ricattura del fuggitivo.
 Tuttavia, l’incidente si configura come un campanello d’allarme che rimette in discussione le risorse e le procedure dedicate alla sicurezza, spesso sacrificate sull’altare di tagli di bilancio e riorganizzazioni interne.
  La fuga, in questo contesto, evidenzia una vulnerabilità che mette a rischio non solo l’ordine pubblico, ma anche la sicurezza del personale penitenziario e degli altri detenuti.
L’immagine idealizzata del carcere minorile, alimentata dalla popolarità di fiction come “Mare Fuori”, contrasta nettamente con la realtà complessa e spesso drammatica che si consuma tra le mura delle istituzioni penali.
 Mentre la narrazione televisiva esplora temi di redenzione, amicizia e amore, la realtà quotidiana si confronta con problematiche ben più serie: un aumento significativo di detenuti stranieri, molti dei quali non accompagnati e affetti da disturbi psichiatrici, amplifica le difficoltà gestionali e le pressioni sul personale.
 La gestione di questi giovani, spesso vittime di circuiti migratori pericolosi e con bisogni specifici, rappresenta una sfida cruciale per il sistema penitenziario.
 La mancanza di risorse dedicate alla valutazione psichiatrica, all’assistenza legale e all’integrazione sociale aggrava la situazione, rendendo più difficile la riabilitazione e aumentando il rischio di recidiva.
 L’evasione, pertanto, non è solo una violazione della sicurezza,izione.
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