La vicenda giudiziaria che ha visto contrapporsi l’azienda Acqua Sant’Anna e il suo ex direttore commerciale, Luca Cheri, insieme al compianto amministratore delegato, Alberto Bertone, si è conclusa con un’assoluzione piena, sancendo l’inesistenza del fatto perseguito: diffamazione e turbata libertà del commercio.
Un epilogo che solleva interrogativi profondi sulle dinamiche aziendali, sulla libertà di informazione, e sul delicato rapporto tra concorrenza leale e campagne diffamatorie orchestrate per danneggiare un competitor.
Al centro del contenzioso si collocava un’inchiesta giornalistica appositamente confezionata, presentata come divulgazione di informazioni di settore, che metteva a verbale presunte complicità tra la catena di distribuzione Lidl e il marchio Acqua Eva, con sede a Paesana.
L’articolo, veicolato attraverso una testata giornalistica di settore, mirava a screditare Acqua Eva, insinuando pratiche commerciali scorrette e una mancanza di trasparenza.
L’autore materiale dell’articolo, Davide Moscato, dipendente del gruppo Mia Beverage, holding di Acqua Sant’Anna, ha fornito una testimonianza cruciale in tribunale, rivoltandosi contro i suoi ex superiori.
La sua deposizione, unitamente alle ammissioni parziali degli imputati, ha rivelato un quadro preoccupante: Bertone e Cheri avrebbero innescato l’azione diffamatoria come forma di rivalsa, un “sassolino da togliere dalla scarpa”, come lo stesso Cheri ha ammesso.
Sebbene entrambi abbiano negato di aver fornito indicazioni specifiche per la stesura dell’articolo, la loro implicazione nell’ideazione della campagna denigratoria è emersa chiaramente.
La parte civile, Acqua Eva, aveva inizialmente quantificato il danno economico subito a causa del “gossip commerciale” in 11 milioni di euro, sostenendo la perdita di contratti significativi, in particolare con la cooperativa Coop.
Tuttavia, i difensori hanno contrariamente sostenuto l’assenza di un danno commerciale comprovabile, un elemento che ha pesato significativamente nella decisione del giudice.
Il verdetto di assoluzione solleva questioni fondamentali riguardanti la responsabilità dei vertici aziendali, i limiti della concorrenza e la necessità di tutelare la reputazione delle imprese.
La vicenda evidenzia come una campagna diffamatoria, anche se realizzata attraverso un apparentemente indipendente organo di informazione, possa configurare un atto illegale con ripercussioni significative per la parte lesa.
Inoltre, la morte di Alberto Bertone durante il corso del processo ha aggiunto un elemento di complessità emotiva e giuridica, privando la vicenda di una sua figura chiave e limitando la possibilità di un confronto diretto in aula.
L’assoluzione, pur risolvendo il procedimento penale, non preclude la possibilità di azioni legali civili volte a risarcire i danni subiti da Acqua Eva.






