La vicenda che ha scosso la comunità di Verbania si è conclusa con la condanna a tre anni di reclusione per Giancarlo Murroni, un uomo di 64 anni che, nel dicembre scorso, ha perpetrato un atto di estrema violenza nei confronti della sua ex compagna, aggredendola con acido all’interno del suo salone da parrucchiiera.
La sentenza, in linea con le richieste della Procura, rivela un quadro complesso di dinamiche relazionali interrotte e di una escalation di comportamenti che hanno portato a un gesto irreparabile.
Il Giudice per le Indagini Preliminari, Mauro D’Urso, nel pronunciarsi in abbreviato, ha riconosciuto attenuanti generiche, ma ha simultaneamente riqualificato due dei capi d’imputazione originari.
L’iniziale accusa di tentata deformazione dell’aspetto della persona, aggravata da premeditazione, dall’utilizzo di sostanze corrosive e dalla specifica vulnerabilità della vittima, è stata convertita in tentate lesioni personali gravissime.
Allo stesso modo, la contestazione di stalking è stata ridimensionata a minacce, un mutamento che riflette, seppur parzialmente, la complessità di interpretare e quantificare le azioni di molestie e intimidazioni che hanno preceduto l’aggressione.
La presenza di un capo d’imputazione relativo a lesioni aggravate è rimasta.
La decisione del giudice sottolinea la gravità del gesto, mitigata dalla presenza di elementi che ne attenuano la responsabilità penale, senza peraltro sminuendo la sofferenza e il trauma subito dalla donna.
La sentenza rappresenta un tentativo di bilanciare la necessità di punire il reo con la considerazione delle circostanze attenuanti, in un contesto giudiziario che si confronta con la difficoltà di definire univocamente le responsabilità in dinamiche relazionali complesse e spesso segnate da profonde sofferenze emotive.
Parallelamente alla pena detentiva, Murroni è stato condannato a risarcire la vittima con diecimila euro a titolo provvisionale, di cui quattromila già versati.
Questa somma, pur rappresentando un tentativo di compensare il danno subito, non può annullare l’impatto devastante di un atto così violento, che ha lasciato una profonda cicatrice psicologica.
L’avvocato difensore, Marisa Zariani, ha tentato di minimizzare la gravità del gesto, descrivendolo come un “momento di pazzia” e sottolineando il rammarico del suo assistito.
Tale approccio, sebbene mirato a ottenere una mitigazione della pena, rischia di sminuire la sofferenza della vittima e di non affrontare adeguatamente le cause profonde che hanno portato a un gesto così estremo.
L’analisi tecnica della sostanza utilizzata, acido cloridrico al 6,5%, ha escluso l’utilizzo di una sostanza particolarmente aggressiva, ma il danno psicologico subito dalla donna, testimonianza del profondo senso di paura e di insicurezza generato dall’aggressione, risulta essere particolarmente significativo.
L’episodio solleva interrogativi urgenti sulla necessità di interventi di prevenzione e di sostegno per persone a rischio di comportamenti violenti, nonché sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo alle dinamiche della violenza di genere e alle sue conseguenze devastanti.
Il caso Murroni, al di là della condanna, rappresenta un monito per la società e un invito a riflettere sulle cause profonde della violenza e sulla necessità di costruire una cultura del rispetto e della non violenza.







