La vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto un cittadino altoatesino, inizialmente condannato in primo grado a un’ammenda significativa, la revoca della patente di guida e la confisca del veicolo, ha subito una drammatica inversione di rotta in appello.
La sentenza di assoluzione, emessa dal tribunale di Bolzano, ha sollevato interrogativi cruciali sulla validità delle prove scientifiche e sull’interpretazione dei fatti in contesti di stress e post-trauma.
L’incidente, verificatosi l’11 settembre 2022 sulla Mebo, aveva visto il conducente perdere il controllo del furgone, impattando contro il guardrail e richiedendo l’intervento dei soccorsi.
La scoperta di una bottiglia di spumante nelle mani dell’uomo, immediatamente dopo l’evento, aveva alimentato l’ipotesi di guida in stato di ebbrezza, aggravata dalle circostanze dell’ora notturna e dalla conseguente lesione del bene pubblico rappresentato dalla sicurezza stradale.
La prima sentenza aveva accolto questa ricostruzione, applicando le pene previste dalla legge.
Tuttavia, la difesa, guidata dagli avvocati Vittorio Papa e Alessandro Lorenzi, ha contestato fermamente la ricostruzione dei fatti, sostenendo che il conducente avesse consumato l’alcol *dopo* l’incidente, in un momento di profondo turbamento emotivo e sotto il peso di un periodo di forte stress.
Questa tesi, inizialmente ritenuta insufficiente a inficiare la presunzione di colpevolezza, ha trovato un solido appiglio nella perizia tecnica di parte.
La cruciale svolta processuale è derivata dall’analisi approfondita delle analisi ematiche eseguite in ospedale.
I consulenti difensivi hanno evidenziato una profonda lacuna metodologica: l’analisi non aveva determinato la concentrazione di alcol nel sangue (il parametro legale), ma aveva misurato la concentrazione di alcol nel plasma, una componente del sangue in cui i livelli di alcol appaiono sovrastimati rispetto al sangue intero.
Questo difetto di accuratezza metodologica solleva dubbi sulla validità del dato quantitativo come prova del tasso alcolemico *al momento* del sinistro.
Ancora più significativo è il fatto che l’analisi sia stata effettuata a distanza di almeno 150 minuti dall’incidente.
Questa lunga finestra temporale preclude qualsiasi tentativo di correlare il risultato analitico al momento della guida, rendendo impossibile stabilire con certezza quale fosse il livello di alcolemia al momento del sinistro.
L’intervallo di tempo trascorso tra l’evento e il prelievo compromette irrimediabilmente la catena di causalità necessaria per stabilire la responsabilità penale.
La vicenda pone in luce l’importanza cruciale di una corretta applicazione dei protocolli scientifici in ambito forense e la necessità di considerare il contesto psicologico e fisiologico dell’individuo coinvolto in un incidente.
La tensione tra la presunzione di colpevolezza e il diritto alla difesa si risolve, in questo caso, a favore del conduttore, grazie alla rigorosa analisi tecnica che ha messo in discussione la validità delle prove a suo carico, dimostrando come una erronea interpretazione di dati scientifici possa condurre a una sentenza ingiusta.
Il caso testimonia, infine, come lo stress post-traumatico possa indurre a comportamenti che, pur apparentemente incompatibili con la lucidità, siano in realtà espressione di un profondo stato di shock emotivo.







