La recente ondata di disordini a Trieste, culminata nell’occupazione della stazione ferroviaria e negli spiacevoli scontri con le forze dell’ordine, solleva interrogativi profondi sul rapporto tra diritto di espressione, responsabilità civica e la complessa ricerca di una pace duratura.
Le immagini di lacrimogeni e barricate, lungi dal rappresentare un’espressione genuina di aspirazione alla concordia, configurano atti di teppismo che offuscano e danneggiano la legittima voce di chi, sinceramente, anela a un futuro di dialogo e serenità.
È imprescindibile ribadire che la manifestazione pacifica, la libera espressione del dissenso e la critica costruttiva sono pilastri fondamentali di una società democratica.
Tuttavia, questo diritto inalienabile non può essere invocato per giustificare comportamenti violenti, intimidatori o irrispettosi della legalità.
Un diritto, per quanto nobile, non può mai essere un lasciapassare per l’illegalità e la prevaricazione.
La ricerca di una pace, a livello globale come a livello locale, non è un atto unilaterale o una semplice dichiarazione di intenti.
Richiede un impegno condiviso, una profonda riflessione etica e una costante volontà di dialogo.
A livello internazionale, esiste un piano di pace, ampiamente sostenuto dalla comunità internazionale, che mira a risolvere conflitti e a promuovere la stabilità.
Un piano da cui, per ironia della sorte, risulta esclusa l’organizzazione che incarna la radice di molti dei problemi che si vogliono risolvere.
Chi si dichiara sostenitore della pace ha la responsabilità primaria di incarnare i principi che essa stessa promuove.
Agire in modo provocatorio, creare disagi alla popolazione e disperdere risorse delle forze dell’ordine, anziché contribuire alla ricerca di soluzioni, è un cortocircuito logico che mina la credibilità di qualsiasi movimento pacifico.
Le azioni di Trieste, lungi dall’essere un atto di protesta legittima, rappresentano un’inversione di rotta, una distorsione del messaggio che si intende veicolare.
L’impegno delle forze dell’ordine, spesso silenzioso e faticoso, merita un profondo riconoscimento.
La loro missione è quella di garantire la sicurezza e la convivenza civile, proteggendo i diritti di tutti, anche di coloro che, purtroppo, si discostano dalla legalità.
La sacralità del diritto di manifestare non può mai prevalere sulla necessità di garantire un ordine pubblico basato sul rispetto delle regole e sulla convivenza pacifica.
Costruire un futuro di stabilità e dialogo, sia in Medio Oriente che nelle nostre città, richiede un impegno condiviso, un senso di responsabilità e la ferma condanna di ogni forma di violenza e provocazione.
Non si può sperare in un futuro di pace seminando disordine e conflitti.