L’inchiesta giudiziaria che ha portato alla denuncia di quattro persone per bancarotta fraudolenta segna un capitolo doloroso nella storia economica di Auronzo di Cadore, dove un albergo di rilevanza turistica e sportiva – ospite, per anni, del ritiro precampionato di una squadra di Serie A – è crollato sotto il peso di un dissesto finanziario stimato in 4,5 milioni di euro.
Le accuse, formulate dalla Guardia di Finanza, convergono su un disegno criminale complesso e premeditato, che ha visto l’alterazione sistematica di procedure, la manipolazione di flussi finanziari e l’occultamento di informazioni cruciali, culminando nel fallimento dichiarato nel 2022.
Il fulcro dell’indagine si concentra sull’interazione tra l’impresa bellunese e la sua società di capitali napoletana, quest’ultima già dichiarata fallita nel 2012.
Si sospetta che attraverso una serie di operazioni societarie complesse e opache, risorse finanziarie provenienti da istituti bancari siano state illecitamente deviate alla controllante campana, privando l’albergo delle risorse necessarie per la sua sostenibilità.
In particolare, l’amministratore delegato della società bellunese è accusato di aver dissipato la riserva di conferimento, erogando ingenti somme, superiori agli 800.000 euro in più tranche nel 2010, alla controllante senza una valida giustificazione economica e in assenza di una specifica approvazione assembleare, violando così principi fondamentali del Codice Civile.
L’accusa ricostruisce un quadro di spesa impropria e di distorsione dei costi, con l’individuazione di fatture gonfiate per un ammontare di 1,6 milioni di euro relative a lavori di ristrutturazione.
Questi lavori, finanziati interamente da un istituto di credito ignaro del raggiro, ammontavano in realtà a soli 300.000 euro, mentre la fatturazione raggiungeva la cifra di 1,9 milioni.
Un ulteriore illecito è stato scoperto con il rimborso illegittimo di un pregresso finanziamento, per 250.000 euro, alla controllante partenopea.
L’amministratore delegato della società fallita è accusato anche di aver utilizzato risorse aziendali per scopi personali, pari a circa 130.000 euro, destinati a coprire spese di viaggio, soggiorni, ristorazione e servizi di estetica.
La spirale negativa si è conclusa con una fraudolenta cessione di una porzione di fabbricato aziendale, valutata oltre 500.000 euro, a un cittadino campano, anteponendo le sue pretese creditorie in modo illegittimo.
Le indagini hanno inoltre portato al coinvolgimento di due ulteriori individui, un napoletano e un romano, accusati di aver partecipato all’occultamento della documentazione amministrativa della società, scoperta solo in seguito a una perquisizione.
L’inchiesta, ancora in corso, mira a ricostruire completamente il quadro delle responsabilità e a quantificare l’impatto finanziario di queste azioni illegali, con implicazioni che vanno ben oltre la mera perdita di un’attività economica, toccando la credibilità del sistema finanziario locale e la fiducia nella trasparenza delle operazioni commerciali.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla vigilanza e sui controlli interni, e sulla necessità di rafforzare i meccanismi di prevenzione e repressione dei reati finanziari.