mercoledì 13 Agosto 2025
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Don Capovilla Espulso: Un Monito sulla Pace e i Diritti Umani

L’episodio dell’espulsione del sacerdote don Nandino Capovilla da Israele, e l’imposizione di un divieto di rientro che si estende alla Palestina, solleva interrogativi urgenti e profondi sulla complessità del conflitto israelo-palestinese e sulla nostra responsabilità morale di fronte ad esso.
La facile acquiescenza, la ripetuta accettazione acritica delle narrazioni ufficiali israeliane, alimentata da una sorta di automatismo che equipara ogni azione a “autodifesa”, rischia di anestetizzare la coscienza collettiva e di legittimare atti che, altrimenti, sarebbero inequivocabilmente condannabili.

La visione riduttiva di “autodifesa” non può giustificare la perdita di vite innocenti, l’uccisione di civili inerme, persone in fila per il pane, come tristemente sottolineato dal sacerdote.
L’esperienza di don Capovilla, pur essendo personale, si configura come un simbolo delle crescenti restrizioni alla libertà di movimento e di espressione nella regione.

Il “deny to entry”, un provvedimento gravissimo, non si limita a colpire un singolo individuo, ma incide sul diritto universale alla libera circolazione e al dialogo interculturale.
L’idea di dover richiedere un permesso specifico per rientrare, con una successiva valutazione basata su criteri opachi, è una chiara manifestazione di un controllo sempre più pervasivo.
La particolarità della situazione palestinese, con un territorio sostanzialmente sotto controllo israeliano, rende il presunto “accesso” alla Palestina una mera illusione, un permesso condizionato e revocabile in qualsiasi momento.
Si tratta di una forma di segregazione che impedisce una reale possibilità di osservazione e di testimonianza imparziale.

La questione, lungi dall’essere un mero dettaglio di cronaca, ci impone una riflessione più ampia.

Siamo chiamati a superare le semplificazioni e le narrazioni preconfezionate, a sviluppare un senso critico e a contestare le ingiustizie, anche quando si presentano sotto il manto della “sicurezza” o dell'”autodifesa”.
La voce di un testimone come don Capovilla, che ha avuto il coraggio di denunciare l’assurdità di una situazione intollerabile, è un monito e un invito all’azione.
Non possiamo permettere che la paura e la complicità silenziosa soffochino la speranza di una pace giusta e duratura.

Dobbiamo riscoprire il valore della testimonianza, la forza del dissenso e l’imperativo morale di difendere i diritti umani, ovunque siano violati.

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