Un’azione di disobbedienza civile ha interrotto questa mattina le attività logistiche dell’Interporto di Padova, teatro di una protesta organizzata da membri di Extinction Rebellion.
Il gesto, caratterizzato dall’incatenamento di attivisti ai cancelli d’accesso, ha avuto come fulcro lo slogan “Per la Palestina, blocchiamo tutto”, sottolineando una convergenza tra la lotta per la giustizia climatica e il sostegno al popolo palestinese.
L’azione ha sollevato immediate preoccupazioni per la sicurezza dei manifestanti, con un camion che, a loro dire, ha proseguito la sua corsa rischiando di investire i soggetti incatenati.
Allo stesso tempo, la presenza della bandiera palestinese e i cori a sostegno di Gaza e della Global Sumud Flotilla hanno amplificato il messaggio di solidarietà e di denuncia.
L’Interporto di Padova è stato individuato dal movimento come nodo cruciale per denunciare la complice partecipazione dell’economia locale al conflitto israelo-palestinese.
La scelta si basa su una delibera approvata dal Consiglio Comunale il 21 luglio, che prevedeva misure concrete in risposta alle azioni di Israele e al drammatico peggioramento della situazione umanitaria a Gaza.
Tuttavia, Extinction Rebellion critica aspramente la natura meramente formale dell’attuazione di tale delibera.
Nonostante l’appoggio concettuale, l’azione si è rivelata priva di sostanza, mancando accordi rescissi, una trasparente lista di aziende coinvolte, criteri verificabili per l’adesione a tali misure e, soprattutto, un sistema di sanzioni per chiunque non si adegui.
L’azione si inserisce in una strategia più ampia che vede il movimento ambientalista tessere collegamenti tra crisi ecologica e ingiustizie sociali, riconoscendo come l’espansione economica e il modello di sviluppo dominante siano intrinsecamente legati a dinamiche di oppressione e sfruttamento.
La protesta, quindi, non si limita a condannare le politiche israeliane, ma interroga il ruolo delle istituzioni locali e del tessuto economico padovano in un contesto globale segnato da conflitti e disuguaglianze.
Si pone l’interrogativo se il consenso formale possa essere sufficiente a contrastare la continua violazione del diritto internazionale e a garantire una reale risposta alla sofferenza umana, invocando un impegno più incisivo e una revisione profonda delle priorità economiche e politiche.
L’Interporto, in questo scenario, diventa il simbolo tangibile di una complicità silenziosa, un punto di convergenza tra logiche commerciali e dinamiche di potere che perpetuano l’ingiustizia.