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domenica 26 Ottobre 2025

Microplastiche: scoperta shock negli animali selvatici sudafricani

La crescente ubiquità delle microplastiche rappresenta una sfida ambientale globale che sta erodendo anche gli ultimi bastioni di ecosistemi apparentemente incontaminati.

Una ricerca congiunta condotta da team di ricercatori delle Università di Padova e Pretoria ha portato alla luce una scoperta sconcertante: la presenza di frammenti di nylon e altre microplastiche all’interno dei polmoni e nel sangue di fauna selvatica proveniente da riserve naturali del Sudafrica.

Questa evidenza, presentata al Sardinia Symposium 2025, un forum internazionale dedicato alla gestione dei rifiuti e all’economia circolare, ha sollevato nuove preoccupazioni sull’estensione e le implicazioni di questa contaminazione diffusa.
Lo studio, intitolato “Presence and characterisation of microplastics in wildlife organs across diverse South African ecosystems”, rivela una concentrazione inaspettata di nylon, un polimero ampiamente utilizzato nella produzione di tessuti, abbigliamento e imballaggi.
Questa scoperta suggerisce che l’inquinamento da microplastiche non è limitato alle aree urbane o industriali, ma si propaga anche attraverso le correnti atmosferiche, i corsi d’acqua e le catene alimentari, raggiungendo persino ambienti remoti.
L’impatto del turismo e delle comunità locali, seppur indiretto, contribuisce significativamente a questa contaminazione, sottolineando la natura transfrontaliera e la complessità del problema.

La presenza di microplastiche negli organi vitali degli animali selvatici costituisce un campanello d’allarme.

Questi frammenti, inferiori a 5 millimetri di diametro, non sono inerti; essi rilasciano additivi chimici tossici e agiscono come vettori per sostanze chimiche persistenti, bioaccumulabili e potenzialmente dannose.
L’assorbimento di queste sostanze può compromettere la salute degli animali, alterando il loro sistema endocrino, indebolendo il sistema immunitario e, in ultima analisi, riducendo la loro capacità di sopravvivenza e riproduzione.
La catena alimentare amplifica ulteriormente questo rischio, poiché le microplastiche si accumulano lungo i diversi livelli trofici, con potenziali conseguenze per la salute umana attraverso il consumo di carne o pesce contaminati.
La ricerca si inserisce in un contesto più ampio di crescente consapevolezza riguardo all’impatto ambientale dell’industria tessile, un settore caratterizzato da un modello lineare di produzione e consumo che genera enormi quantità di rifiuti.

L’elevata produzione di fibre sintetiche, alimentata dalla fast fashion e dall’aumento della domanda di prodotti economici, contribuisce in modo significativo alla dispersione di microplastiche nell’ambiente.
La sessione “How to achieve EU textile recycling targets” durante il Sardinia Symposium ha evidenziato l’urgenza di adottare strategie innovative per migliorare la raccolta, il riciclo e la gestione dei rifiuti tessili, in linea con le direttive europee.
La ricerca evidenzia la necessità di un approccio olistico, che coinvolga università, istituzioni, aziende e consumatori, per ridurre la produzione di microplastiche, promuovere pratiche di consumo sostenibili e mitigare gli effetti negativi di questa crescente minaccia ambientale.

La sfida è quella di trasformare un’economia lineare in un sistema circolare, in cui i rifiuti tessili vengono considerati una risorsa preziosa, recuperabile e riutilizzabile.

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