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Salario minimo: Scontro tra Governo e Regioni, rischio sfruttamento.

L’azione del Governo Meloni, impugnando la legislazione regionale toscana volta a introdurre un salario minimo per i lavoratori coinvolti in appalti pubblici, solleva interrogativi profondi sulla concezione stessa di giustizia sociale e sul ruolo dello Stato nella tutela della dignità umana.
Quella toscana era una misura, seppur apparentemente semplice, che mirava a garantire un livello minimo di retribuzione – nove euro l’ora – per coloro che erogano servizi essenziali attraverso contratti pubblici, un atto che avrebbe rappresentato un passo avanti significativo verso un’economia più equa.
La reazione del Governo, tuttavia, evidenzia una distanza preoccupante rispetto alle esigenze di ampie fasce della popolazione.

Come sottolinea l’europarlamentare Matteo Ricci, candidata alla presidenza della Regione Marche, questa opposizione non può essere interpretata come una mera divergenza politica, ma come una potenziale acquiescenza nei confronti di fenomeni di sfruttamento lavorativo e precarietà.
L’impegno programmatico di Ricci, che prevede l’introduzione di misure analoghe anche nelle Marche, si configura come una risposta concreta a una realtà sociale drammatica.
La Regione Marche, infatti, si trova ad affrontare un’emergenza povertà acuita da un problema strutturale: il cosiddetto “lavoro povero”.
Si tratta di un fenomeno che intrappola individui e famiglie in un ciclo di deprivazione, nonostante l’impegno lavorativo.

La loro fatica quotidiana non si traduce in un miglioramento delle condizioni di vita, bensì in una lotta continua per la sopravvivenza.
I dati del rapporto Caritas 2025, che collocano le Marche al primo posto in Italia per numero di famiglie che si rivolgono ai centri di assistenza, testimoniano la gravità della situazione.
L’introduzione di un salario minimo, ancorato ai contratti collettivi, non è soltanto una questione economica, ma un imperativo etico e sociale.
Rappresenta un riconoscimento del valore intrinseco del lavoro e della necessità di garantire a ogni lavoratore un tenore di vita dignitoso, che gli permetta di soddisfare i bisogni primari e di partecipare attivamente alla vita sociale.

Si tratta di un investimento nel capitale umano, che favorisce lo sviluppo economico sostenibile e la coesione sociale.

La promessa di un “Cambio di Marche” si articola quindi come un impegno a favore di una politica del lavoro che metta al centro la persona, la sua dignità e il suo diritto a un futuro migliore.

Non si tratta di un semplice slogan, ma di una visione chiara e di un piano d’azione concreto, volto a contrastare lo sfruttamento, a promuovere la giustizia sociale e a costruire una regione più equa e prospera per tutti.
La sfida è complessa, ma la posta in gioco è troppo alta per rinunciare a combatterla con determinazione e coraggio.

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