La vicenda giudiziaria che coinvolge un ex comandante della Base logistico-addestrativa di Arabba, recentemente analizzata dalla Corte dei Conti di Bolzano, solleva interrogativi significativi sulla gestione delle risorse pubbliche e sulla responsabilità dei vertici militari in materia di controllo e trasparenza.
La decisione della Corte, che parzialmente accoglie la richiesta della Procura regionale, impone un esame approfondito delle dinamiche che hanno portato alla contestazione di un debito stimato a 20.000 euro, originariamente quantificato in 34.000, a carico dell’ex comandante.
L’irregolarità è stata rilevata in relazione ai consumi di luce, acqua e gas relativi all’alloggio di servizio assegnato al militare, tra il 2003 e il 2012.
La difficoltà nella quantificazione precisa del debito – derivante dall’assenza di rilevazioni iniziali dei contatori – sottolinea una lacuna procedurale che ha contribuito a mascherare una situazione potenzialmente più complessa.
La denuncia, sporta a febbraio 2024 dall’Ufficio giuridico legale del Comando Truppe alpine di Bolzano, ha dato il via a un’indagine che ha portato alla luce incongruenze nella gestione delle utenze.
Elemento cruciale della decisione della Corte dei Conti è l’accoglimento della tesi della Procura in merito alla presenza di *dolo*.
La certificazione, sottoscritta dallo stesso militare indagato, che attestava la regolarità dei consumi, è stata giudicata un tentativo deliberato di indurre in errore i responsabili amministrativi.
Questo aspetto evidenzia un problema di integrità e di responsabilità individuale che va oltre la semplice omissione o errore procedurale.
La condotta del militare è stata interpretata come un’azione volta a eludere i controlli e a sottrarre risorse al patrimonio pubblico.
La Procura aveva inizialmente contestato la posizione anche di due successivi comandanti del Reparto comando supporti tattici «Tridentina», richiedendo la restituzione di ulteriori 1.100 e 3.700 euro rispettivamente.
Tuttavia, la Corte dei Conti ha ritenuto che la loro “condotta omissiva”, ovvero la mancata supervisione e il conseguente mancato recupero delle risorse, non fosse sufficiente per giustificare l’addebito diretto, suggerendo che tali aspetti potrebbero trovare più appropriata collocazione all’interno di un procedimento disciplinare.
Questo distingue tra una potenziale responsabilità amministrativa – legata alla vigilanza e al controllo – e una responsabilità penale, che richiede un elemento di dolo più evidente.
La vicenda, dunque, non si limita a una questione di semplici errori di contabilizzazione, ma apre un dibattito più ampio sulla necessità di rafforzare i meccanismi di controllo interno all’interno delle strutture militari, sulla chiarezza dei protocolli di assegnazione degli alloggi di servizio e sull’importanza di una cultura della trasparenza e della responsabilità, dove ogni figura, dal comandante al singolo militare, sia consapevole del proprio ruolo nella salvaguardia del patrimonio pubblico.
La sentenza sottolinea come anche una presunta omissione, se unitamente ad altri elementi, dimostra l’intento di ingannare, possa comportare pesanti ripercussioni legali ed etiche.








