Il processo per violenza sessuale di gruppo che ha scosso la comunità di Tempio Pausania si appresta alla sua fase conclusiva.
Ciro Grillo e i suoi amici Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, imputati per i fatti avvenuti nella notte tra il 16 e il 17 luglio 19, si trovano ora di fronte alle repliche e controrepliche che precederanno la discussione finale e la pronuncia della sentenza.
La sanzione, inizialmente prevista per la serata di mercoledì 4, potrebbe subire uno slittamento a giovedì mattina, a seconda delle indicazioni del collegio giudicante presieduto dal giudice Marco Contu.
Il procedimento, avviato con la prima udienza tecnica il 16 marzo 2022, si è svolto perlopiù a porte chiuse, preservando la privacy delle parti coinvolte e la correttezza del contraddittorio.
Al centro del caso c’è l’accusa di violenza sessuale di gruppo ai danni di una studentessa italo-norvegese e della sua amica, entrambe all’epoca diciannovenni, avvenuta in una villetta a Porto Cervo.
La requisitoria del procuratore Gregorio Capasso, durata quasi otto ore complessive, ha portato alla richiesta di nove anni di reclusione per ciascuno degli imputati, tenendo conto delle circostanze aggravanti e delle conseguenze accessorie.
Il procuratore ha sottolineato la drammaticità della situazione, evidenziando le sofferenze delle due vittime, giovani donne che hanno subito un trauma profondo, e i disagi psicologici che i quattro imputati, anch’essi giovani uomini, stanno vivendo.
La difesa ha costantemente ribadito l’innocenza dei propri assistiti, sostenendo che i rapporti intercorsi sarebbero stati consensuali e volontari.
Gli avvocati hanno messo in discussione l’uso di presunte violenze o coercizioni, affermando la convinzione che nessuno degli imputati abbia agito con intenti lesivi o costrittivi.
La difesa ha inoltre messo in luce la giovane età dei ragazzi al momento dei fatti e le ripercussioni che una condanna potrebbe avere sul loro futuro.
Un elemento particolarmente significativo del processo è stato il confronto con le argomentazioni della difesa, portato avanti dall’avvocata Giulia Bongiorno, che rappresenta la studentessa italo-norvegese, parte civile.
Bongiorno ha denunciato un’interpretazione distorta del consenso femminile, che sembra svalutarne l’importanza e la centralità.
La difesa civile ha inoltre sottolineato la particolarità del caso, evidenziando l’incredibile quantità di domande poste alla sua assistita durante l’esame, un numero che, a suo dire, resterà impresso nella storia della giurisprudenza.
La ragazza, nonostante le pressioni e le difficoltà, ha mantenuto la sua coerenza narrativa, dimostrando la sua determinazione nel cercare giustizia.
Il processo, quindi, non si limita a una contestazione di presunte violenze fisiche, ma solleva interrogativi profondi sulla percezione del consenso, la tutela delle donne e la responsabilità individuale di fronte alla legge.
La conclusione del processo si prospetta come un momento cruciale, non solo per le parti coinvolte, ma per l’intera collettività, chiamato a riflettere su temi delicati e complessi che riguardano la giustizia, la dignità umana e il rispetto dei diritti fondamentali.