mercoledì 15 Ottobre 2025
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Livermore e il Lutto: un’Elettra intensa al Teatro Chiesa

Il Teatro Ivo Chiesa ha vibrato ieri sera, acclamando l’apertura della stagione teatrale con “Il Lutto si Addice a Elettra”, una rielaborazione potente e commovente del dramma di Eugene O’Neill.

L’allestimento, frutto di una visione artistica compiuta, si distingue per la coerenza stilistica e l’eccellenza tecnica che contraddistinguono il lavoro di Davide Livermore, figura di spicco nel panorama teatrale e operistico contemporaneo.
La sua capacità di navigare con pari maestria tra i due generi, combinata con un’attenzione maniacale per la precisione formale, lo rende un regista di riferimento.
Livermore, già noto per la memorabile trasposizione di “The Turn of the Screw” e per la sua interpretazione dell’Orestea, ha saputo cogliere l’essenza del dramma di O’Neill, un’opera che, pur ispirandosi alla tragedia greca di Eschilo, la reimposta in un contesto americano, alla fine della Guerra di Secessione, e la arricchisce con le lenti della psicanalisi freudiana.
Invece di affidarsi al giudizio divino, l’opera esplora le profondità oscure dell’animo umano, un processo interiore che si sostituisce al rituale pubblico dell’antica Grecia.
A differenza di precedenti lavori che hanno visto Livermore sperimentare con soluzioni sceniche audaci, come le proiezioni antigravitazionali, in questa occasione l’attenzione si concentra intensamente sugli interpreti.

La scenografia, una struttura architettonica fissa, un ambiente chiuso e profondo, caratterizzato da una palette cromatica dominata da bianco, grigio e nero, assume un ruolo di contenimento, di specchio per le emozioni che esplodono sulla scena.

Il rosso, colore del sangue e della passione, irrompe solo nei momenti di più acuta violenza emotiva.
La regia si rivela essenziale, asciutta, lontana da qualsiasi ricerca di spettacolarità fine a se stessa.

Si tratta di una regia cinematografica per intelligenza e per capacità di scavare nella psicologia dei personaggi, magistralmente interpretati da un cast di prim’ordine.
Elisabetta Pozzi, che trent’anni prima aveva interpretato Lavinia sotto la guida di Ronconi, offre una performance straordinaria nel ruolo di Christine, mentre Linda Gennari, in costante evoluzione artistica, si distingue nell’interpretazione della figlia.

Paolo Pierobon, nei panni del vecchio Ezra Mannon, incarna la figura paterna con una profonda intensità.
Ottime anche le interpretazioni di Marco Foschi, Aldo Ottobrino, Davide Niccolini e Carolina Rapillo.

La musica, elemento cruciale nel teatro di Livermore, è stata orchestrata dal regista in collaborazione con Daniele D’Angelo.

La partitura, pervasiva ma discreta, si compone di elementi percussivi e melodie evocative che richiamano figure come John Brown, Bruno Maderna e Giorgio Federico Ghedini, creando un’atmosfera sospesa, carica di tensione emotiva, e sottolineando la tragicità del destino dei protagonisti.
Un’esperienza teatrale indimenticabile, che invita alla riflessione sulla natura umana e sulle sue inestricabili contraddizioni.

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